Un quotidiano la cui missione è narrare l’umana stupidità e i suoi risvolti segreti e inauditi riporta oggi, giovedì 29 Ottobre, la notizia che l’Italia nell’Unione europea è tra i massimi protagonisti del consumo di suolo. Questo significa che in realtà la politica non ama poi molto né il luminoso articolo 9 della nostra Costituzione (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”), né la legge Galasso del 1985 sulla protezione dei beni ambientali né, figuriamoci, la legge Cederna-Ceruti del 1991 sulle aree protette. È Vittorio Emiliani, a intrattenersi sulla stretta relazione tra cementificazione del suolo, apertura di cave, dirottamento di corsi d’acqua, e alluvioni, esondazioni, smottamenti. Vittorio Emiliani, da sempre in prima linea per la difesa del nostro patrimonio culturale, ex Direttore del Messaggero, fratello di Andrea Emiliani, che a sua volta fondò l’Istituto dei Beni Culturali dell’Emilia Romagna e analizzò le molteplici relazioni tra l’arte moderna, e il paesaggio, italiani. Ora, è chiaro che simili articoli mettono di malumore, ancora di più in questi giorni infelici, che a oscurità sommano impotenza. Tuttavia bisogna adattarsi al presente anche se ci sembra migliore il passato, come sosteneva Baltasar Graciàn in Oracolo manuale e arte di prudenza (1647), e fermarsi, riflettere, immergersi in questa forzosa sosta per ripensare la realtà e contribuire a ridisegnarla. Leggere un libro di segno opposto alla cattiva notizia, come Ho costruito una casa da giardiniere, di Gilles Clément, vertiginoso racconto autobiografico sul senso del fermarsi in un luogo- in questo caso nella Creuse, in Francia, nella Nuova Aquitania- capendone la potenza, le possibilità, le energie, e costruirvi la propria casa.
Con una scrittura avvincente per la sua omogenea disomogeneità, Gilles Clément, progettista e restauratore di giardini, scrittore e teorico in grado di influenzare una generazione di paesaggisti, critici d’arte, artisti, ambientalisti, docente presso la Scuola Nazionale di Paesaggio a Versailles, racconta come ci si può inoltrare nella morfologia di un paesaggio pur in perenne, sorprendente e meraviglioso, mutamento. “La mia vita da giardiniere inizia qui, e qui prosegue e si rinnova perpetuamente. Tutti i miei lavori, alcuni dei quali su scala ben più ampia, trovano la loro origine in questo luogo. Al principio non avevo idea precisa su come risistemarlo. Non mi mancavano tuttavia i metodi e i modelli appresi durante i miei studi alla Scuola Nazionale di orticoltura o scoperti nei miei primi lavori. Ma qui si trattava del mio giardino- della mia infanzia, potrei dire. Ho cercato allora di dispormi in dialogo con la natura. Prima di toccare qualsiasi cosa volevo capire, almeno un po’, quel che accadeva sotto i miei occhi e che mi sfuggiva quasi completamente. Abbiamo una conoscenza limitata della diversità e una nozione quasi nulla delle specificità comportamentali degli elementi che si muovono all’interno di questa diversità. Non siamo che ai primi balbettii nella riscoperta di quella natura così familiare ai nostri antenati, e che ci è divenuta completamente ermetica. Così mi feci quanto più silenzioso possibile. Ero come un invitato attento a non disturbare gli ospiti. Ero in visita presso le piante e gli animali”.
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