Non ci si può aspettare altro da una società che ha affidato all’immagine dei media la propria comunicazione massificata. Sono questi perciò gli strumenti che gli artisti contemporanei, specie i giovani, riescono a sentire più idonei non solo ad una comunicazione moderna ma anche a rappresentare la loro creatività. Ciò non vuole essere una critica anzi, se c’è una cosa straordinaria che Manifesta 3 ha detto è che i giovani sono proiettati, attraverso la sperimentazione, a potenziare le capacità espressive di questi strumenti, anche con l’ausilio delle tecnologie moderne. Non potendo descrivere qui tutte le opere esposte proponiamo una sorta di selezione che non mira a stabilire alcuna graduatoria di preferenza, ma piuttosto a fornire un panorama delle tematiche trattate e degli strumenti impiegati.
La riflessione sulla condizione femminile è alla base del progetto di Maja Bajevic e Ursula Biemann: la prima propone un video dal titolo “Women at Work” che analizza il lavoro delle donne nel tempo e nel luogo della guerra che ha sconvolto la ex Jugoslavia, la seconda, sempre con l’utilizzo del video, racconta una straordinaria e raccapricciante storia ambientata ai confini del Messico; in un’area fortemente degradata e desertica, dove tutta la vita ruota intorno a impianti per la creazione di meccanismi tecnologici destinati all’esportazione, la vita alienante e l’isolamento hanno portato ad un progressivo imbarbarimento della popolazione. Le vittime primarie di questa situazione sono le donne trattate come oggetti, spesso violentate, uccise e abbandonate nel deserto. Le false indagini alla ricerca di un fantomatico serial killer nascondono in verità la cinica politica di tutelare interessi economici e di potere impedendo il collasso di un sistema basato sul lavoro a basso costo e sulla violenza legalizzata.
Di nuovo la guerra dei Balcani è il tema delle opere fotografiche e video di Phil Collins, che analizza la situazione dei rifugiati e le conseguenze della guerra.
Dal tragico al comico Roland Boden organizza un piccolo information point nel quale presenta un’assurda e ridicola invenzione: si chiama Urban Shelter Units ed è un avveniristico modulo prefabbricato studiato per accogliere l’uomo del futuro. Piccolo, stretto e razionale, consente agli uomini di vivere in pochi metri quadri al riparo dagli effetti di guerre, malattie e sconvolgimenti naturali. Queste celle, dalle quali è possibile vedere l’esterno da piccole finestrelle, sono pubblicizzate da un video nel quale sono illustrati i modelli personalizzati, le capacità di raggruppamento (tipo Lego), il comfort.
Il teatrino dell’assurdo si compone di una colonna sonora accattivante, delle spiegazioni entusiaste di una vocina suadente e di un depliant a colori a disposizione del pubblico con tanto di modulo d’ordine e marchio registrato.
Bello il video di Agnese Bule, che ripercorre la storia della Lettonia attraverso fotogrammi e disegni animati: la sintesi finale è la critica ad una società che, a detta dell’artista, quando è riuscita a liberarsi della botte (metafora della chiusura ad ogni ingerenza esterna della gente di quei luoghi) nella quale era richiusa non ha trovato di meglio che costruirsi altre botti.
Il film di Joost Conijn tratta del rapporto uomo macchina attraverso la lenta narrazione delle vicende dell’artista aviatore che, nello sperduto deserto marocchino, allestisce un aereo artigianale con l’utilizzo di pezzi di fortuna e ne testa, a lungo senza successo, la capacità di volare: si crea una sorta di simbiosi tra macchina e uomo, una inedita relazione tra arte e società. La ricerca del limite umano che si rigenera sempre più oltre attraverso la capacità manuale e la conoscenza, fino all’instaurazione di una sorta di simbiosi con la macchina, sintetizza, in fondo, la naturale vocazione dell’uomo al superamento delle leggi naturali e alla ricerca di libertà.
Non manca l’arte che si serve dell’elettronica: Darij Kreuh propone un’installazione che interagisce con lo spettatore, il suo titolo è Barcode = III. Immersion. Il visitatore è chiamato a salire su una sorta di bilancia che registra alcuni dati producendo un codice a barre personale che viene letto da scanner in una stanza buia nel quale il partecipante viene fatto entrare munito di occhiali tridimensionali. Dall’analisi dei dati un computer elabora una sequenza di luci e suoni personalizzati. La non originalissima simulazione (già vista su internet) si caratterizza per questa sorta di sogno in cui si assiste, in uno spazio virtuale, alla frammentazione di se stessi in sfere luminose in movimento e segnali acustici, frutto del dialogo con l’intelligenza artificiale.
Gioca tutta intorno ai concetti di memoria e comunicazione l’installazione di Roman Ondak, che occupa pareti e pavimento con oggetti e disegni realizzati da persone comuni cui egli stesso ha raccontato i luoghi che ha visitato nei suoi viaggi. La partecipazione collettiva al viaggio dell’artista rende tutta la varietà delle singole personalità che hanno contribuito al progetto ma ciò che più colpisce è da un lato la rappresentazione del sedimentarsi della memoria, ben evidenziato nelle distaccate rappresentazioni degli auditori del racconto e, dall’altro, il processo di minimalizzazione che subisce la trasmissione verbale di un’esperienza, frutto della sintesi operata dalla memoria del protagonista dell’esperienza e della capacità di ricezione e rielaborazione dell’auditore.
Una riflessione critica e oggettiva della società urbanizzata propone il gruppo Schie 2.0 nell’opera “Holland is a Well Regulated Country”: una serie di 120 pannelli in bianco e nero che documenta, per immagini e messaggi, gli obblighi e i doveri che soggiacciono al corretto e regolamentato vivere nella società moderna urbanizzata.
Di estrema suggestione è il video di Ene-Liis Semper dal titolo “FF/VV” in cui l’artista ha realizzato ha realizzato una sorta di opera circolare, un doppio suicidio della protagonista è proposto ossessivamente in avanzamento e riavvolgimento: l’esito è un filmato plausibile in entrambe le direzioni. E’ una riflessione sulla manipolazione del tempo attraverso i media e il tempo, ma il video non nasconde un tributo alle performance di body art degli anni ’70, reinterpretando in chiave moderna l’utilizzo del proprio corpo come mezzo di espressione artistica e pescando a piene mani dalle riflessioni della psicanalisi (conflitto dell’Io, schizofrenia, autoaggressione, subcosciente).
Coinvolgente è il progetto Transborderline del gruppo Stalker; lo scopo è quello di creare nuovi spazi urbani liberi di servire alla società multiculturale e multietnica moderna, luoghi dove sia reso possibile il confronto e l’interrelazione tra soggetti diversi. In mostra un tunnel costruito con una spirale di gomma ricoperta di nailon che invita il visitatore all’attraversamento. Il pavimento è ricoperto di palloni bianchi, a creare una sorta di passaggio ludico e aggregante.
Da ultimo si segnalano le belle foto di Gregor Zivic, in cui l’artista si rappresenta in situazioni assurde, caratterizzate dalla negazione delle leggi fisiche e dei principi prospettici.
Alfredo Sigolo
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