1963.
Carmelo Bene è in scena con
Cristo ‘63, lo spettacolo che scandalizza la critica e che gli costerà la condanna in contumacia per gli anni successivi.
Claudio Abate (Roma, 1943) in quel momento lavora per la rivista “Sipario” e sue sono le memorabili foto di scena che “salveranno” Bene dall’accusa, riportandolo sulle platee italiane.
Si può dire che la carriera di Abate inizia sul palcoscenico, osservando il teatro e immortalando in uno scatto l’irripetibilità e l’unicità della scrittura scenica. Contemporaneamente nascerà anche l’idillio con l’arte contemporanea d’avanguardia: un incontro inevitabile negli anni di ripresa economica, quando cultura e arti parlavano una sola lingua. Non a caso, un forte interesse per la teatralità continua a caratterizzare i primi anni della carriera di Abate, il cui esordio può sancirsi con
Living Theatre (1968), opera che apre il percorso espositivo.
Un’osservazione attenta e analitica della realtà contemporanea, peculiarità della sua poetica che continua tuttora, risulta impensabile senza l’assidua frequentazione e la profonda conoscenza delle opere, dei contesti e degli artisti che hanno lasciato un vivo segno nell’arte italiana. Forte è per esempio il legame con
Jannis Kounellis, di cui Abate fotografa molti lavori, prima fra tutti l’installazione
Cavalli (1969) all’Attico di via Beccaria a Roma; sarà lo stesso Kounellis, in occasione della recente mostra di Abate a Villa Medici, a sottolineare il talento del fotografo nel cogliere nelle sue opere “
la drammaticità che i vari momenti di sconvolgimento formale pretendevano“.
Vistamare raccoglie gli scatti più celebri, che in gran parte si sono già visti nell’ultima personale presso l’Accademia di Francia: ritroviamo per esempio
Vedova blu di
Pino Pascali,
Che fare di
Mario Merz,
Dom Quijote de la Mancha di
Ontani o, ancora,
Penone e
De Dominicis.
Di grande forza l’ultima sezione della mostra, che ospita le fotografie a colori più recenti, dalle collaborazioni con la Nuova Scuola Romana al progetto
Oscura, che ha dato il titolo alla mostra pescarese del 2005. Da
Kiefer a
Daniele Puppi, queste opere dimostrano fin dove possa spingersi il talento di Abate;
Fatica numero 17 è ad esempio un’immagine pregna, di grande abilità tecnica e che restituisce quella stessa corposità sensoriale e uditiva percepibile nelle video-proiezioni dell’artista friulano.
Una mostra di corpo che, seppur riproponendo le opere più note del fotografo romano, rende ugualmente omaggio a una grande personalità dell’arte italiana, che non ha mai smesso di essere contemporaneo, documentando prima i bagliori di un passato unico e irripetibile, catturando poi la freschezza e le potenzialità dei linguaggi del nostro presente.