Intimo, viscerale, originario e mai patetico il legame di
Tullio Pericoli (Colli del Tronto, Ascoli Piceno, 1936; vive a Milano) con la madre terra. Terra che esprime le forze più misteriose della natura, che plasma, fa nascere e trasforma, in un continuo rapporto dialettico con l’intervento umano che in essa s’inserisce in un ritorno all’origine. Terra come
nous, mente creatrice originaria, puerpera sofferente nello sviluppo del paesaggio; terra come linea di confine fra umanità interveniente e assoggettata. Dalle stesse parole dell’artista che fanno da cornice all’esposizione: “
Natura e pittura sembrano fatte della stessa materia”.
È interessante scorrere il susseguirsi delle opere lungo un asse temporale che accompagna uno sviluppo progressivo dalle texture consumate, quasi solchi antichi di una
Sezione continentale del 1972, fino alle perturbazioni delle creazioni degli ultimi anni, nelle quali le linee di confine tra cielo e paesaggio, particolarmente significative in
Colline delle Marche del 2000, scompaiono o divengono tratti mossi da un nuovo vigore sperimentale.
Lo sguardo di Pericoli si sposta ben oltre la siepe di leopardiana memoria. L’omaggio e l’affetto per il territorio natio rimane immanente nell’evocazione dei monti Sibillini, delle morbide colline, gonfiate dal potere della terra, a volte accarezzate e spesso travolte dal suo vigore quando il tratto si fa più tormentato e le tinte si sposano e confondono, fin dallo
Studio per la città in fiamme del 1966, per giungere a
Senza Cielo del 2008 o ai due
Sedendo e mirando che danno il titolo alla mostra e campeggiano uno di fronte all’altro in una delle ultime sale del percorso.
Altrettanto appassionato il ritratto di una vegetazione rigogliosa inondata di verde, nella quale l’uomo s’immerge in una sorta di mimetismo-ritorno all’origine, come nella
Lunetta per Torrecchia del 2002. Ma questa rivisitazione quasi romantica non impedisce lo scorcio contemplativo sulla diversità, ed ecco delinearsi uno spazio cittadino affollato di luci, finestrelle accese sull’immaginario che illuminano il reticolato fumoso, regolare, azzurrino dei caseggiati, come nella
Città verticale del 2001.
Minuterie in punta di matita, piccoli spunti di poesia dentro gli acquerelli, animano invece paesaggi fiabeschi dei primi anni ’80, punteggiati di elementi e personaggi vivacemente particolareggiati su sfondi eterei, nei quali le perturbazioni del cielo danzano sulla linearità dell’orizzonte.
Un viaggio ricco, variegato e puntualmente allestito coinvolge il visitatore, come il susseguirsi di paesaggi dal finestrino di una vettura, avvolgente nelle citazioni, attento nella testimonianza di un’esperienza che sembra completamente rivolta al futuro, inquieta e stimolante nell’incapacità di trovare piena soddisfazione, un continuo rimaneggiare su stili e percezione.
Come il ciclo della vita, anche “
le forme emergono dalla superficie dell’opera, ma è come se dalla superficie fossero destinate a re immergersi in essa”, dice l’artista.