Un accumulo di detriti è ciò che abbiamo davanti agli occhi, come un muro impenetrabile. Un’immagine straniante, che non consente un orientamento. Nella fotografia di una discarica, alla quale ne viene affiancata un’altra, disposta in modo speculare,
Silvia Camporesi (Forlì 1973) individua il
gradozero.
Nel suo allestimento originario, pensato per il Mar (il Museo d’Arte di Ravenna), la mostra era composta da tredici fotografie e un video. Nel confronto con la diversità dello spazio di Cupra Marittima, l’artista riconsidera il progetto, mantenendone inalterata la concezione ma inserendo un minor numero di opere. Attraverso il criterio di composizione, volutamente orientato alla simmetria, si viene a costituire un equilibrio formale e cromatico che porta l’immagine stessa della discarica a rappresentare l’annientamento, il massimo livello di distruzione. Un
gradozero al quale può far seguito unicamente una ricostruzione.
Avvalendosi di attrici professioniste, Camporesi mette in forma questa rinascita. Ogni immagine è costruita con attenzione, facendo espliciti riferimenti all’arte sacra, affinché esprima interamente il proprio portato simbolico. La figura di una donna, in
ouverture, ammantata di rosso e con le braccia aperte in segno d’accoglienza e lo sguardo che invita ad andarle incontro, diventa l’immagine di una speranza, il punto d’inizio di un percorso esistenziale. L’individuazione di un appoggio, che trova la sua origine fuori dall’inquadratura, consente di proseguire, nonostante gli ostacoli. In
scesa la figura si trova in bilico tra oblìo e salvezza.
L’attenzione dell’artista, a questo punto, si sposta sullo stato d’animo. In una serie composta da sei fotografie
scosse sono esplorate e rese visibili le emozioni. Un percorso d’iniziazione che ha il suo compimento nel video. In
dance dance dance la figura femminile si muove nell’acqua. Una differenza di stato che, modificando le condizioni fisiche, proietta in un’altra dimensione. I movimenti si fanno lenti e il nuotare si mostra unicamente quale ripetizione automatica di un movimento. Una presa di coscienza dove si perdono i confini tra il nuoto e la danza, citata nel titolo ripreso da un romanzo di Murakami Haruki, intesa quale sinonimo di attività e di vita. Silvia Camporesi amplia questo concetto, arrivando a esplorare la forza dell’uomo, la sua tenacia.
Un’ostinazione che è individuata nella ritualità, nella ripetizione sistematica di un’azione -gesto, parola- che ha la sua origine nell’individuazione di un punto di riferimento reso più facilmente localizzabile dal ricorso a simboli religiosi quali la croce. Una ricerca che mostra chiaramente la propria origine identitaria, costituendo una significativa similitudine con lo stesso momento creativo, che porta l’artista alla definizione della propria opera.