Segni di un’interiorità traboccante passione, tasselli di un’arte segnata dal tempo e dalle origini, profondamente vicina e distante in un gioco di rimandi intellettuali e territoriali, metafore di vita e spunti di riflessione agreste. Un girotondo di forme morbide e lussureggianti che suscitano il pensiero di dolci pendii, ma anche colori talmente forti e penetranti da entrare nell’essenza della tela, accanto a sterminate oscurità.
Tre personalità vivaci e complesse, temporalmente e materialmente lontane, ma unite dall’influsso più o meno percepito della terra di nascita. Questa selezione di opere riporta alle Marche delle colline, dei paesetti (
Osvaldo Licini,
Paesaggio con uomo. Montefalcone, 1926), di persone dal temperamento mite e laborioso; ma anche ai temi dei grandi letterati che in questa Regione hanno tratto i loro migliori spunti. Profondo ad esempio il legame tra Licini e Leopardi, che porta a oltrepassare la siepe, verso quella Luna che si arricchisce di elementi metaforici e mitologici, trasformandosi nell’
Amalassunta. L’equilibrio tra cielo e terra, forma e geometria, punti centrali del patrimonio iconografico dell’artista, risaltano tra olandesi volanti, angeli ribelli e dimensioni astratte.
Ma l’origine marchigiana è testimoniata anche dal senso di torpore e costrizione, dissidio interiore tra passione sensuale e spiritualità religiosa, forte nell’espressionismo di
Scipione, maceratese “espulso” dalla propria Regione, come lo stesso Cucchi definisce molti suoi pari in un’intervista con Ludovico Pratesi. E così il visitatore si trova di fronte a immagini mistiche, come quella del profeta vicino alla pomposità esasperata delle gerarchie papali (
Il Cardinale Vannutelli sul letto di morte, 1930) e a disegni di donne dai caratteri sessuali esasperati (
Modella nuda, 1929).
Infine, i dipinti di
Enzo Cucchi, altrettanto pervasivi e quasi ossessivi nella definizione della marchigianità, espressa attraverso paesaggi fiabeschi o apocalittici (
Paesaggio Barbaro, 1983), tinte sfacciatamente vivaci accanto a sfondi di pece, colate di colore tanto abbondanti da confondersi con i rilievi realizzati a tecnica mista. La poetica dell’artista sembra quasi sintetizzabile in quel
Carro di Fuoco perfettamente emblematico di un vagheggiamento misto a tormento, cultura agreste e fatica che diventano riflessione dell’umana essenza, tramite di passaggio e interscambio fra la tranquillità di una parete soleggiata e lo scompiglio di un campo di battaglia.
Al di là degli accademici rimandi e delle influenze fra i tre artisti, la formula stessa di questa mostra sta nella capacità di testimoniare un’essenza legata a un modo di essere e vivere. Forti radici che, però, hanno il proprio sviluppo verso l’altro, liberandosi e aprendosi in una passionalità espressiva e spumeggiante che non conosce confine.