Un susseguirsi di linee che definiscono infiniti piani,
guidando lo sguardo in profondità. La genesi delle forme sembra dispiegarsi
davanti allo spettatore mentre osserva. Il tratto istintivo, usato nel ciclo
Sinapsi da
Daniele Bordoni, riesce a unire l’elemento
naturale, con la sua disposizione apparentemente caotica, a quello propriamente
umano. Un insieme organico inscindibile, in cui la pianta (tronco, ramo,
radice) si fonde al corpo (organi, vene, terminazioni nervose).
L’elemento vegetale torna in
Ombra di
Alberto Mariani, per deviare rapidamente verso
altre direzioni. Il tronco si riduce a semplice
silhouette, ritrovandosi inserito in uno di
quei volumi complessi, rigorosi e disarmanti che evocano gli spazi
architettonici tipici dell’artista. L’albero, in quanto tale, si dissolve; ne
resta l’ombra, proiettata su pareti spoglie. In tal modo, la forma naturale
diventa puro pretesto per indagare lo spazio costruito, saturato dall’uomo.
Due opere esposte vicine. Trovandosi da sole, sulla stessa
parete, rivelano un aspetto significativo sotteso alla mostra: consentono di
soffermarsi sul processo d’osservazione. Nel caso specifico, l’avvicinarsi per
scorgere ogni minimo particolare viene seguito dall’arretramento indispensabile
per cogliere l’opera nel suo complesso.
Viceversa, la parete successiva obbliga all’operazione
opposta. A un primo sguardo, i tre pezzi esposti sembrano perfettamente
comprensibili. Osservandoli a una certa distanza, li si riconduce a visioni
delle quali abbiamo esperienza.
L’inquadratura cinematografica e lo scatto
fotografico, e ancora la visione aerea e quella propria dell’automobile
appartengono al
Paesaggio Urbano di
Leonida De Filippi, così come a
Sud Est di
Jonathan Guaitamacchi e a
Paesaggio di
Mario Giacomelli. Un processo di comprensione solo
apparentemente immediato che richiede, per esser completato, di avvicinarsi
alla superficie, di perdersi nei singoli segni ed elementi.
La stagione espositiva della Monja Ercoli Arte Contemporanea
prosegue, dopo la personale di Alberto Mariani, con una collettiva in cui
vengono accostati dieci artisti appartenenti a generazioni diverse. Le ampie
sale al secondo piano di un antico palazzo nel centro storico conservano
l’elegante spazialità settecentesca, arricchita dalle pitture murali di
soggetto neoclassico sui soffitti. Un ambiente sobrio e raffinato, che ospita
la galleria dall’ottobre 2008, dove le opere esposte costringono la visione a
un continuo adattamento.
Un processo comune al
Senza titolo di
Enzo Cucchi, al
Paesaggio di Giacomelli, alle opere di
Tino
Stefanoni e
Salvo, ai
Paesaggi Anemici di
Mario Schifano e alla
Mirabilandia di
Marco Neri, dove una serie di segni grafici
accostati sulla tela svelano l’inconfondibile scenario di un grande parco di
divertimenti.
Una tematica inoffensiva, come può essere quella del
paesaggio, rivela tutta la sua carica problematica. Inteso in un’accezione
ampissima, il paesaggio finisce per condurre a una riflessione sul come e sul
perché della visione. Sul modo di vedere ciò che è intorno a noi.