Non è certo la prima volta che una mostra pone l’accento su artisti dal profondo legame con la Serenissima, che tanta parte hanno poi avuto nello sviluppo dell’arte delle Marche (su tutti, i numerosi eventi curati da Pietro Zampetti e gli studi su Crivelli e i Crivelleschi).
Ciò che però rende degna di nota la mostra L’aquila e il leone. L’arte veneta a Fermo, Sant’Elpidio a mare e nel fermano è l’approccio critico, fondamentalmente sociologico, con cui i curatori hanno deciso di affrontare l’argomento. Le opere esposte nella sontuosa cornice del Palazzo dei Priori di Fermo e nella pinacoteca Vittore Crivelli di S. Elpidio a mare sono infatti presentate come la “naturale conseguenza artistica” del coacervo di legami politici ed economici che sin dal XIV secolo sono intercorsi tra Fermo e la Serenissima. Se gli aspetti politici di questo complesso tessuto storico sono dimostrati da documenti usciti per l’occasione dagli imponenti archivi fermani, l’aspetto economico e commerciale è più cripticamente evocato dalla rappresentazione delle costellazioni celesti come sfondo costante a pannelli e didascalie. È seguendo le stelle che i navigatori veneziani hanno potuto unificare le terre dell’Adriatico in nome del commercio. Il richiamo al mare come ponte che univa le due terre ritorna anche nell’allestimento della prima sala del Palazzo dei Priori, quella dedicata agli autori del XIV secolo: le opere sono inserite tra spesse funi e tavole di legno che ricordano i fasciami di barche alle deriva, fantasmi di un passato glorioso. In questo allestimento stravagante e suggestivo, in una calda ed avvolgente penombra, luci d’accento giocano con i fondi oro delle tavole gotiche di Jacobello del fiore, di Carlo e Vittore Crivelli, dei Vivarini, del Maestro del polittico di Torre di Palme. In una sorta di scenario post atomico, a dominare lo spettatore è una nostalgica idea di rovina, di irrecuperabilità del passato se non attraverso la visione delle tavole degli artisti, unici baluardi di luce e razionalità in una generale atmosfera di tenebra fisica e mentale.
In una rigorosa sequenza cronologica, ad accogliere lo spettatore sono le opere degli artisti tardogotici, primi figli della cultura veneziana, che hanno trovato nel fermano la loro terra d’adozione. Su tutte spiccano le immaginifiche tavole di Carlo Crivelli (Venezia, c. 1430-Ascoli Piceno, c. 1495), che colpiscono per l’opulenza di ori e decorazioni e per la poderosa carica espressionistica dei volti. Siamo ben lontani dalla levità a suo modo ancora cortese di Gentile da Fabriano, qui spodestata da una vivacità narrativa popolare e violenta, a volte al limite del caricaturale.
Proseguendo cronologicamente, si scontrano sul territorio regionale il colorismo di Tiziano (Pieve di Cadore, 1490 – Venezia, 1576) -peccato che nessuna sua opera sia presente fisicamente in mostra, nonostante l’autore venga più volte evocato- e l’espressionismo patetico di Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 – Loreto, 1556): l’uno capace di fare della sua maniera una linea guida dell’arte europea del Cnquecento, l’altro costretto ad implodere in una sterile dimensione provinciale. E poi ancora Jacopo Palma il giovane, Claudio Ridolfi, Nicola di Maestro Antonio, tutti presenti con opere provenienti dalle chiese e pinacoteche locali, a sottolineare il forte legame della mostra con il suo territorio.
A fare da cornice alle opere dei grandi autori non mancano in mostra esempi delle arti cosiddette “minori” ed “applicate”, ceramiche, oreficerie e reliquiari, oggetti della tradizione religiosa e della vita quotidiana, che tanta parte hanno avuto nell’ansia di collezionismo delle ricche famiglie del patriziato adriatico.
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Sto del servizio tecnico alla cultura della regione Marche
francesca iacopini
mostra visitata il 14 maggio 2006
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Altro che prudenza... "Sterile produzione provinciale" è quasi un insulto...
il giudizio su Lotto dovrebbe essere improntato a una maggiore prudenza. rimando alla monografia di Berenson, ancora oggi validissima.