A trent’anni di distanza dall’esposizione nella cattedrale di San Ciriaco, che segnò un altissimo momento artistico e culturale, è tornato ad Ancona il
Miserere di
Georges Rouault (Parigi 1871-1958). La suite incisoria in 58 tavole originali, eseguite tra il 1914 e il 1927, rappresenta il vertice artistico di quello che è ritenuto il più grande interprete dell’arte sacra del Novecento. Dotato di uno stile autonomo che lo rese estraneo alle correnti artistiche coeve e lontano perfino dalla poetica espressionista cui fu immotivatamente associato, l’artista francese fu invece influenzato dal pensiero filosofico e dalla spiritualità di Jacques Maritain, al quale fu legato da un’affinità profonda e costante nel tempo.
Con Rouault, la retorica tradizionale del dolore lascia definitivamente il posto a una vibrante tensione poetica in cui umanesimo e cristianesimo si fondono nel grido silenzioso e nella dignità rubata del mondo dei vinti. L’uomo è posto al centro di un pellegrinaggio di dolore sulla terra che lo vede prostrato, schernito e addolorato, solo dinanzi al destino. Racconta il dramma di una società venata dal solco profondo dell’ipocrisia e del peccato, portando sulla scena uomini potenti, clown, giudici, contadini, donne dell’alta borghesia e prostitute. Tutti accomunati dallo stordimento doloroso di un assurdo fato, in una rappresentazione priva tuttavia di discernimento morale.
Questi personaggi, estrapolati dal loro habitus e portati dinanzi a noi per glorificarli nella loro sofferente e umiliante solitudine, ci guardano negli occhi con lo stesso sconforto del Cristo abbandonato dal Padre sulla croce.
Eppure, questo raffinato interprete del dramma umano finisce per offrirci -nella vastità di un messaggio grandioso- una possibilità di riscatto troppo aderente al sacro per poter essere fruibile da tutti. La dolorosa consapevolezza della condizione umana, il senso della morte, le ansie e le fobìe di un’epoca funestata dall’insensatezza della guerra, magistralmente espressi nella sequenza delle tavole grazie all’impiego della tecnica dell’acquatinta allo zucchero, trovano ragione solo nel sacrificio di Cristo: l’unico punto da cui ripartire alla rifondazione dei valori umani. Perfino la denuncia nei confronti di una nascente società borghese, insensibile, cinica e indifferente alle condizioni di emarginazione delle fasce più deboli, si ferma davanti alla possibilità di una condanna morale o di una considerazione politica.
Non a caso, la
Passione costituisce il tema centrale dell’opera, presentandoci una divinità che, incarnandosi nell’umanità dolente, compenetra divino e umano in una dimensione terrena e trascendente l’esistenza umana. Per questo motivo Maritain conierà il titolo di umanesimo integrale per definire la sua pittura che, mentre vive di fede e spiritualità, resta ancorata al grembo oscuro della terra. Un umanesimo che intende valorizzare l’uomo partendo, in questo caso, dalle sue debolezze e non dalle certezze. E l’immagine paradigmatica è quella del clown costretto a sorridere a dispetto del suo spirito triste e solitario, raffigurato nella tavola VIII del 1923, intitolata
Qui ne se grimme pas?.