Non solo prospettiva. Lontano dagli stereotipi che hanno sempre visto Gentile da Fabriano (Gentile di Niccolò di Giovanni Massi, detto da Fabriano; Fabriano 1380/5 – Roma 1427) come esponente di quella parte del Rinascimento ancora legata al gotico cortese, la mostra si propone di dare una nuova interpretazione della figura del pittore marchigiano. L’espressione altro Rinascimento vuole sottolineare proprio questo aspetto. Il fatto che Gentile non si avvalesse più di tanto delle tecniche prospettiche nelle sue opere non significa certo che ne ignorasse l’invenzione, o tanto meno che non fosse in grado di utilizzarle. La sua è invece stata una scelta: quella di indagare più l’aspetto della percezione atmosferica, l’attenzione posta sull’uomo e sulla natura. Una rivoluzione mancata, come l’ha definita Andrea De Marchi, un insieme di caratteristiche che avrebbero portato gli artisti verso nuovi orizzonti, camminando al fianco dell’innovazione basata sulla cultura prospettica.
Un discorso che stravolge la consueta dicotomia tra il filone del gotico cortese ed il Rinascimento vero e proprio; la grazia e il portamento aulico accanto alle svariate specie vegetali minuziosamente descritte su sfondi d’oro tra dame, cavalieri e mistiche rappresentazioni, opposta alla nuova plasticità dei corpi tra fondali prospettici, sinteticamente riassunta nell’opera di Masaccio. La frequentazione delle botteghe lombarde, avvenuta grazie alla protezione di Chiavello Chiavelli, condottiero di Giangaleazzo Visconti, ha portato Gentile alla conoscenza di una cultura di respiro internazionale, unita all’osservazione delle tecniche orafe delle botteghe parigine. Proprio al periodo lombardo è dedicata la prima sezione della mostra, tra cui spiccano opere di Michelino da Besozzo, Lorenzo Salimbeni e Giovannino de’ Grassi, oltre ovviamente allo stesso Gentile.
Del periodo veneziano vengono indagati i rapporti e le influenze con l’arte bizantina, di cui la città lagunare era permeata, con esiti ben visibili ad esempio nella Madonna con bambino della Galleria Nazionale dell’Umbria (nella medesima sezione sono esposti anche importanti esemplari di arte orafa).
Il Polittico di Valleromita è esponente di una prima maturità pittorica ottenuta durante il soggiorno veneziano. Una rivoluzione anche tecnica in cui “fece reagire la verità epidermica della tradizione lombarda con i rabeschi dorati a missione delle stoffe dipinte dai veneziani del Trecento” (De Marchi, in catalogo). È sul territorio veneto che Gentile si affermò come uno dei maggiori pittori, celebre per i cicli di affreschi murali come quelli commissionatigli per la Sala del Maggior Consiglio.
Il ritorno nella terra natia è rappresentato dalle Stimmate di San Francesco, in cui grande attenzione è posta sulla “luce come medium fisico”, dall’atmosfera quasi crepuscolare. A seguire opere di Salimbani, del Maestro di Staffolo, di Ottavio Nelli e Arcangelo di Cola, tutti esponenti dell’ambiente artistico umbro e marchigiano. Per chiudere con Antonio di Agostino da Fabriano, che raccoglie l’eredità gentilesca in situ.
Al periodo fiorentino appartengono i capolavori della Pala Strozzi (grande assente della mostra, di cui viene esposta la parte della predella conservata al Louvre) e del Polittico Quaratesi, riunito per l’occasione tranne che per la pala centrale di Berlino, altra evidente mancanza. La mostra si conclude con il periodo romano al servizio di Martino V, di cui si ricordano i perduti affreschi di San Giovanni in Laterano e la Sacra Famiglia con San Benedetto tanto ammirata da Michelangelo, che “parlando di Gentile usava dire che nel dipingere aveva avuto la mano simile al nome” (Vasari).
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valentina correr
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