La sintesi e il suo dispetto. Solo in quest’accezione può
essere assaporato il senso dell’ultimo lavoro di
Francesca Gentili (Macerata, 1970; vive a Roma e
Macerata).
Un’esposizione
semplice e surreale, quasi asettica, amalgamata nelle tinte e nelle perpendicolarità
con lo spazio circostante.
Due lightbox a grandezza naturale si dividono e dividono
la scena in un gioco di simmetrie e variazioni prospettiche che molto somiglia
all’osservazione casuale, quasi come se queste figure fossero due passanti incrociati
all’orizzonte. Ma altrettanto forte è l’impressione di avere davanti degli
ultracorpi in vasche colme di una sostanza tra il liquido e l’aereo, in attesa
che la sperimentazione abbia inizio.
Due maestose teche quadrangolari campeggiano con la plasticità
della scultura. Nel cuore dello scrigno, il centro della riflessione
dell’artista: il corpo come forma non identificabile e assoluta, simbolo e
sostanza di un’identità senza definizione e per questo con i tratti
dell’umanità intera. Rigorose lastre di policarbonato trasparente, stampate con
un cosmogonico alito di impercettibile e frusciante dimensione corporea,
accostate come sfoglie di velina traslucida, messe in risalto dai neon e
compattate in un’onirica bidimensionalità a tutto tondo fatta di eterea,
impalpabile e allo stesso tempo pesantissima forma che appare e scompare dalla
vista al cambiare della prospettiva.
Il bianco è il tono che regna incontrastato, a rafforzare
l’indefinito e il vago, ma anche come tinta che racchiude tutte le altre, così
come in questi umanoidi da appartamento possiamo specchiarci e ritrovare i
tratti dell’idea di noi stessi come dell’altro al di fuori di noi. Un uomo e
una donna. L’uomo e la donna. La carne e lo spirito. La carne dello spirito.
La concentrazione sull’interiorità trasuda prepotentemente
anche dall’olio dei ritratti: sguardi enigmatici, intensamente diretti, smorfie
di riso o dolore conferiscono spessore alle tinte ai confini del pastello.
Linee morbide, accennate in figure diafane, concretamente evanescenti,
altezzosamente assenti nella loro presenza spaziale.
L’umano e l’umanoide. L’umano è l’umanoide derivato dalla
trasformazione-degenerazione operata su di esso da tecnologia e biogenetica. La
trasformazione artificiale lo avvicina all’idea di alieno come essere
misterioso, che viene da lontano, ma anche come essere vivente alienato dalla
sua sostanza originaria.
Numerosi i rimandi alle icone più canoniche del mondo
della fantascienza, che tracciano la linea di congiunzione con le opere
precedenti dell’artista, lungo un cammino che percorre e precorre la
manipolazione per arrivare alla sostanza autentica.
Il tentativo di sintesi, la
ricerca di un valore universale, della stessa definizione di umanità si
uniscono a una sottile riflessione sulle trasformazioni dell’uomo e della
società, che vede l’altro diventare una parte dell’intero e da esso essere
generata e stravolta.