Autopsia della costrizione, della sua tentazione diabolica, che è la strategia per la liberazione, in apertura della nuova stagione espositiva con un titolo emblematico:
Gallerista sull’orlo di una crisi di nervi.
Lo spazio neutro della galleria pare presidiato:
Francesco Insinga usa la fotografia come una lama che seziona le coscienze. Il taglio radicale sui corpi, di una limpidezza classica, modula un moto centrifugo e claustrofobico di liberazione. Il castigo è un cellophan che abolisce identità , ruoli ed emozioni. La riconoscibilità è superflua: in ogni segregazione si viene privati di se stessi. La terrificante prigione quotidiana è nell’ambiguità inquieta di certi indizi e il soffocamento è lento, inesorabile. Segue la morte dell’individuo.
Quella lama acuminata di pugnale è posta nelle mani del pubblico nella performance
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Tiziana Contino. Il travestimento, la maschera dell’inquietante sconosciuto, è in lattice nero lucido, perturbante e allarmante, da immaginario ambiguamente erotico. Dentro e fuori la galleria, brandendo palloncini rossi dalla forma di cuore su cui sono scritte parole, l’artista chiama il pubblico a leggere: un codice privato è pronunciato e, come in una piccola creazione, diventa presenza condivisa. Il castigo è la scelta: eliminare o conservare, con consapevolezza e responsabilità . Il gesto feroce, definitivo dell’esplosione fragorosa lascia cadaveri di parole svuotate o la persistenza ostinata della memoria. Il rito si ripete ossessivamente, a ribadire l’urgenza della liberazione dalla paura dell’ignoto. Per non avere nessun limite al pensiero.
Giuseppe Lana, con un candore brutale, plasma la materia attraverso l’imperiosità del gesto creativo. Il recupero diventa resistenza all’inutilità sentenziata da chi consuma, logora ed elimina. La verticalità totemica delle colonne di lamiera dell’installazione, il moto ascensionale e il circolo magico da rigenerazione, la cosmogonia del faber danno senso a un rifiuto. Il lavacro purificatore finale nell’acqua di mare porta via il ricordo della brutalità necessaria alle rinascite, trasforma e trasfigura, lascia la possibilità di dare nuovo nome alle cose.
Filippo Leonardi crea microcosmi cangianti e sorprendenti, che vivono la loro eterna legge di mutazione arborea nonostante i vincoli dell’inscatolamento, dell’artificio. I piccoli cactus addomesticati per gioco in sacchi di terra, nell’istallazione
Terriccio Universale, sono presagio del caso e dell’imprevedibilità . Danno una possibilità .
Enrico Salemi perde e trova se stesso in un’ossessione per il segno e per il gesto che lo produce. Sedimenti di incisioni con il flex che saturano una superficie di plexiglas: rumore assordante che diventa ritmo, arabesco labirintico, in cui ci si perde per cercare e cercarsi. Velando, scopre. Lasciare un segno su un fondo bianco, proiettare un’ombra è affermare un’esistenza.