Alla ricerca di una meraviglia possibile. Di una resistenza alla transitorietà. Si sta come in tralice, di traverso: è la prospettiva obliqua, da animale domestico, di chi sta in basso, oltre, a fondo, quella di
Luca Bidoli. Questa surrealtà di indizi percepita a quattro zampe, acida, dai contorni netti come tagli, è congegnata per vuoti. Abitano tra le cose, accumulate come un totem dell’assenza sulla scena di un delitto. Il vuoto piatto dei non-luoghi domestici; la negazione perturbante della presenza. Si fa materia pittorica, cromia
fauve, sagoma di un tempo minimo. Di passaggio. Come riflessi di uno specchio frantumato: mobili, inconsistenti, assenti a sé stessi, evanescenti, indeterminati.
Nel lavoro fotografico di
Flavio Romualdo Garofano le identità sfocate, affollate sulle vetrine rivelano, con l’arcano del bianco e nero e il contrasto del colore vivido, la consistenza vitrea, opaca, schizofrenica della realtà. L’inafferrabilità e l’insostenibilità dell’esistenza.
Gli spazi addomesticati di
Michele Miele in un parco giochi metropolitano di notte sanno di immagine presa di nascosto, di disvelamento. La sola presenza è la delimitazione; crescere sa di plastica e solitudine, il volo ha le geometrie brevi di un’altalena e l’immobilità di una sagoma a dondolo, la paura ha ombre ruvide di cemento, la luce una fissità sintetica presagio di un destino. È una linea scura, netta, in bianco e nero.
Non ha compromessi la figurazione di
Dario Molinaro. Il ghigno scheletrico, da maschera irridente e irriverente, il particolare minuto e descrittivo parlano di deformazione, dell’eccesso di chi si consuma dentro con l’indolenza della perdita di sé, nell’anestesia e nella fissità della coscienza. Il colore a contrasto è l’unico appiglio alla realtà.
Jonathan Pappolla lavora su ritratti grotteschi di mezzi busti dai tratti esasperati, tra il pop e l’alterazione, il ghigno corroso, a denti stretti, di chi ha l’anima in decomposizione ma cerca di apparire integro.
Ha una semplicità disarmante
Raffaele Siniscalco, che contamina l’essenzialità e l’innocenza del disegno infantile con la linearità di certi cartoon. Il disegno è un catalogo di tipi umani, di espressioni possibili con pochi tratti, di luoghi fiabeschi con l’albero azzurro, l’ultimo paradiso possibile. Il groviglio ironico di un nodo umano, di certe vicinanze da folla che soffocano e annientano l’individualità, raccontano la piccineria, l’omologazione, l’abdicazione a se stessi.
L’istante appena prima, quella contrazione densa delle energie riesce a fermare la fotografia di
Alessia Sirangelo. Il raccogliersi animale prima dello slancio, di chi si prepara al salto nel vuoto, al volo folle senza ali del
Parkour, alla sfida contro la gravità. Di chi crede nella leggerezza dell’inconsistenza, all’istinto, di chi non ama gli ostacoli e i limiti, che tratta la metropoli come una giungla e se ne riappropria.