Una
forma modificata della yurta, tipica
tenda asiatica e tuttora abitazione di molti popoli mongoli, si offre a
un’esplorazione intima e metastorica: lo spettatore è accolto all’interno di una
tenda-diamante, dove può aggirarsi tra gli oggetti enigmatici che compongono il
Monumento funebre di Gengis Khan di
Pierobon, realizzato in terra cruda e legno dipinti a spray. Le sue opere
tridimensionali dialogano con Fantasma
mongolo di Menin, serie di proiezioni appartenenti alla storia dell’arte o
a un immaginario visivo stratificato. Un ventre entropico di cui non si
percepisce un centro, ma echi e spiazzamenti, rimandi e suggestioni a un
orizzonte lontano. Il titolo allude alla nascita di Gengis Khan, fondatore
dell’Impero mongolo, la cui sepoltura è avvolta nel mistero. La componente
ludica si intreccia saldamente a una valenza spirituale per dar vita a un’opera
che si offre a forme nuove di contemplazione e a tempi lunghi.
La
mono room ospita Le rayon vert di Sabine
Delafon (Grenoble, 1975; vive a Milano): 20 stampe di quadrifogli insinuano
il dubbio sulla loro reale presenza, immagini all’apparenza più vere del reale.
Sono parte di una collezione che l’artista ha cominciato nel 1999 e che oggi
comprende 3mila quadrifogli, ognuno dalle misure e forme differenti, ma tutti
ben riconoscibili per le note caratteristiche portafortuna.
“Un raggio verde, ma di un verde
meraviglioso, di un verde che nessun pittore può ottenere sulla sua tavolozza,
un verde di cui la natura né la varietà dei vegetali, né nel colore del mare
più limpido, hai mai riportato la sfumatura!”: così parlava Jules Verne di quel fenomeno
ottico che chi è fortunato può vedere per pochissimi istanti nelle giornate d’estate al
tramonto. “Quest’ultimo raggio è delicato
come una fiaba; la persona che lo vedrĂ sarĂ capace di leggere i propri
sentimenti e quelli altrui”, fa eco Rohmer: che siano o non siano queste le
suggestioni cui l’opera di Sabine Delafon vuole dare luogo, è davvero delicata
come una fiaba e la visione di questo orizzonte verde è sicuramente un’allegria
e uno stupore per gli occhi.
Un’altra artista francese, Sophie
Usunier
(Neufchâteau, 1971; vive a Milano) è autrice dell’ultima opera in rassegna, Promemoria
(vorrei tanto che ti ricordasse), installazione
site specific realizzata con piĂą di 23mila post-it gialli a totale copertura
delle pareti della project room.
Attraverso un’operazione solo all’apparenza banale, lo spazio espositivo
risulta completamente modificato dalle “trine” o finestrelle quadrate create
dai post-it lasciati intatti. Tabula rasa in cui entrare o spazio vergine da
cui decidere di uscire. Un’opera che nasce durante una residenza in una casa di
riposo a Nancy e che innesca plurimi spunti di riflessione sulla memoria e
sulle storie personali e non.
Della stessa artista sono le Nature
morte, liste della spesa dimenticate
dai clienti di un supermercato, nature morte del contemporaneo che l’artista ha
collezionato dal 2005 al 2009 e incorniciate come quadretti di famiglia.
articoli correlati
Usunier
al Pav
Delafon
da NotFair nel 2009
Menin
a Curatology
Pierobon
a San Miniato
enza di matteo
mostra visitata il 1°
novembre 2010
dal 15 ottobre al 27 novembre
2010
Sophie Usunier | Sabine Delafon
| Samuele Menin & Marta Pierobon
a cura di Francesca Referza
Warehouse Contemporary Art
Via Canzanese, 51 (zona industriale) – 64100 Teramo
Orario: da martedì a sabato ore 10.30-13.30 e 14.30-19
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0861232189; info@warehouseart.it;
www.warehouseart.it
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per favore...fate smettere la delafon! imbarazzante!
scusate ma Samuele Menin è lo stesso Samuele Menin redattore di Flash Art?
"La critica dei giornali riesce sempre ad esprimere in quali rapporti è il critico con chi viene criticato"
Questa frase di Karl Kraus mi sembra singolarmente pertinente. Comprerò il prossimo Flash Art per leggere come si è recensito.
per chi trova interessante questo lavoro di sophie usunier consiglio http://www.camera312.it/ ; progetto simile nella forma, ovviamente diverso nel contenuto!