Un ambiente silenzioso e oscuro. Al centro dello spazio, una poltrona simile a quelle degli studi medici dello scorso secolo, completamente verniciata in oro, poggia su un basamento di legno cilindrico ton sur ton. Ai piedi dell’opera, dallo sviluppo verticale, bisturi, forbici, tipici strumenti utilizzati in chirurgia ricoperti di foglia oro, disposti sulla moquette corvina con lo stesso ordine certosino di una sala operatoria.
Il forte impatto scenico dell’allestimento di
Mona Lisa Tina (Francavilla Fontana, Brindisi, 1977; vive a Bologna) stimola richiami forti alla body art degli anni ’70 e all’arte performativa. Alle pareti, le immagini di istanti di
Obscuratio, intensa performance in interazione con il pubblico accorso al vernissage e parte integrante dell’opera. Una figura nuda e asessuata, dalle orecchie e dalle estremità affilate, e dal corpo il cui color antracite riluce come fosse esso stesso uno strumento chirurgico e, nello stesso tempo, il piano di intervento. Un essere umano innalzato alle sfere del più profondo pensiero, seduto sulla poltrona del medico con aria assorta e movimenti impercettibili, chiaro omaggio alla
Melancholia I di
Dürer.
Dall’incisore e pittore tedesco l’artista prende spunto anche per i riferimenti all’alchimia, agli studi scientifici e al pensiero razionale, contrapposto all’enigma emozionale e arricchito dall’ambiguità sessuale del personaggio. Un corpo trasformato fino ad assumere le fattezze di una scultura bronzea, all’occhio del fruitore appare quasi desensibilizzato. Il fondo è rigorosamente oscurato, come il pavimento, da pannelli monocromatici di moquette nera. Il gioco della luce riporta ancora una volta alla cometa dell’incisione rinascimentale e alle sue simbologie. Il fascio luminoso che cade sulla poltrona riveste un ruolo primario nell’allestimento, riprendendo le tinte dell’oro e del rosso sangue degli strumenti chirurgici allineati.
A completare il percorso della mostra, due teche trasparenti dalle superfici a specchio su alte colonnine quadrangolari. Al loro interno, come preziosi reperti archeologici, altri strumenti da lavoro, alcuni dorati e brillanti come gioielli di alta oreficeria, altri quasi vellutati in rosso, simbolicamente intrisi di sangue o addirittura dal sangue plasmati. Suggestivo il gioco di rifrazione tra i punti luce, gli oggetti e la superficie a specchio.
Il valore allegorico della personale è teso a enfatizzare gli eccessi dell’intervento della scienza sul corpo umano fino al punto di snaturarlo, tanto da porre al centro della scena gli strumenti e non il risultato delle operazioni. La performance dell’artista appare come un elemento fondante dell’intera opera, che quindi risulta nel complesso impoverita da un’assenza che le immagini fotografiche non riescono pienamente a supplire. Mancanza che sarà forse colmata in occasione del finissage.
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Ciao Carmelita, mi spiace non aver avuto modo di incontrarti in occasione della mostra, ti ringrazio per la sensibile e acuta analisi del lavoro dell'artista. Spero di poterti conoscere presto.
Cristina Petrelli
Brava Cri.
Ho trovato la performance di Monalisa Tina brutta, pretenziosa, insignificante, piena di forzature. E soprattutto offensivo per la vista, dato che l'arte è il Bello, quel corpo da alieno. Per fortuna ci sono tanti giovani artisti degni di questo nome che hanno ancora delle cose da dire!