È piacevole, e sicuramente emozionante per chi si occupa di arte, o per un semplice amatore, vedere come uno splendido spazio, quale quello della Mole Vanvitelliana in Ancona venga utilizzato per la promozione della cultura visiva. Infatti sono diversi anni ormai che una oculata amministrazione permette la realizzazione di eventi culturali che ottengono grandi riscontri su scala nazionale, basti ricordare Io adriatico e la mostra antologica dedicata l’anno passato a Mario Giacomelli.
Questa è la volta di Riccardo Tommasi Ferroni, artista particolare e controverso, ma proprio per questo testimonianza importantissima nel panorama artistico contemporaneo. Settanta opere tra oli e disegni sono la testimonianza del suo lavoro dal ’58 alla sua recente scomparsa, e l’occasione indiscussa per approfondire la conoscenza di un artista caratterizzato da una perizia tecnica disarmante, da una profonda cultura, e da una fantasia inesauribile.
La ricerca di Tommasi Ferroni affonda le sue radici sia tecnicamente che concettualmente nella grande lezione dei maestri del cinque e seicento da cui riprende il gusto per la rappresentazione della figura umana nel suo splendore immergendola in enormi e perfette costruzioni quasi teatrali. È il mito una parte importante della sua poetica, ma non un mito antico, morto nello schema culturale di un epoca passata e quindi sterile alla contemporaneità, bensì un mito attualizzato, un linguaggio antico che però parla di noi, come può esserlo un baccanale consumato al Gianicolo o una scena biblica come quella del sacrificio in Abramo e Isacco dove la nudità eroica della vittima è coperta da un paio di jeans.
Ferroni parla di noi e dei problemi legati al nostro tempo, con ironia ed arguzia, attraverso le sue figure antiche rivestite di moderno come la sua Italia nuda ed eroica, ma allo stesso tempo triste, offesa dal serpente e soprattutto dai rifiuti dalla quale è circondata. Una cosa particolarissima sono i “tempi” di questi dipinti, sospesi, incerti, dove le azioni dei personaggi, quasi stereotipati e ripetuti all’ossessione, trasmettono allo spettatore un senso di ansia e di incertezza propri del nostro tempo.
Una tappa fondamentale per la comprensione dell’artista sono i disegni, che proprio per il loro carattere di estemporaneità diventano una testimonianza imprescindibile della sua arte. Un tratto duttile il suo, forte e deciso, quasi aspro nella rappresentazione di scene di insieme, di paesaggi , cavalieri, scheletri e crocifissioni ma che si addolcisce diventando quasi etereo nei nudie nei ritratti.
Grande importanza ha anche il catalogo disponibile in mostra, che oltre all’interessantissimo testo di Marco Di Capua contiene una antologia critica con testi, tra gli altri di Vittorio Sgarbi ed Enzo Siciliano.
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