Il secondo appuntamento del ciclo White Project vede come protagonista il giovanissimo artista britannico Henry Walsh, che -poco più che ventenne- si sta facendo notare in Europa attraverso un tratto semplice e snello ma allo stesso tempo terribilmente accattivante.
Quelle di Walsh sono opere fortemente autobiografiche, in cui il protagonista indiscusso è l’artista che si ritrae allo specchio. La sua pittura rappresenta una forma di
Il mio lavoro si basa sui diversi elementi che compongono una persona –elementi fisici, emozionali, mentali e spirituali- e sul modo in cui comprendiamo e comunichiamo questi elementi alle altre persone. La ragione per cui dipingo autoritratti e che io stesso ragiono su questi elementi in riferimento a me stesso ogni giorno. Con queste parole Walsh motiva la scelta di autorappresentarsi.
Il tratto, semplice e quasi infantile, sottolinea l’estemporaneità dell’azione ed il carattere di appunto visivo proprio della sua poetica pittorica. Pennarelli ed acrilici si muovono su fogli di grandi dimensioni con un ritmo frenetico ed imperturbabile, in una sorta di gesto rituale quasi automatico che da vita a linee continue e forme scarne attraverso cui prende forma un abbozzo, uno scheletro che di volta in volta si concentra e definisce una diversa parte del corpo: una mano, il viso, il tronco.
Non esistono luci ed ombre, sarebbero attributi privi di significato in una rappresentazione di stati d’animo che lascia spazio soltanto alla seduzione minimale che una
Ogni quadro è privo di titolo, e viene definito con un numero romano. Questa scelta fa sì che il numero, con il suo carattere di consequenzialità, permetta di considerare ogni opera come esperienza, come momento di vita. In secondo luogo l’assenza di titolo evita la contaminazione nei confronti del pubblico, che rimane libero di interpretare.
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