Esplicitazione visiva di trasformazione. Narrativa scultorea di rivoluzione. Come fotogrammi di un’opera in divenire, i lavori di
Marco Bernacchia (Senigallia, Ancona, 1979) testimoniano la forza di estraniazione della tecnologia sul mondo naturale e, allo stesso tempo, l’azione-rivoluzione della natura che, in qualche modo, ristabilisce gli equilibri di forza. Un rapporto di causa-effetto-causa che dà tridimensionalità ai cicli e agli stravolgimenti della storia, intesa come rincorsa di empirico e immanente, intervento umano e ribellione della terra.
Il candore asciutto della galleria conferisce ulteriore spessore alle opere, spazio indefinito nel quale spiccano le sculture come spunti di riflessione, testimonianze mute e urlanti della commistione fra naturale e tecnologico. Interessante il reimpiego di elementi di recupero come scampoli di storia, oggetti dal sapore etnografico che sottolineano comunque la tensione al ritorno alla materia pura, all’elemento primordiale. Così una sedia lignea offre accoglienza a un catino nel quale scorre un rivolo d’acqua, il cui suono è amplificato da un microfono completo di asta metallica.
Lo sciabordio diventa la colonna sonora dell’esposizione come melodia della natura, inspiegabilmente pacificante se messa in relazione con i toni forti del repertorio espressivo dell’artista. Il ruolo portante della musica, come un quinto elemento primordiale, è testimoniato anche dalla riproduzione di strumenti musicali e piccoli utensili germogliati in piccoli quadri a china, animati dalle tinte sfumate dell’acquerello che fanno da contorno e completano la mostra.
Il senso d’intervento e movimento torna nelle foto di uomini solitari, cadetti di un futuribile esercito della natura, armati di rami di alberi, ironiche citazioni dell’iconografia della conquista e del dominio del mondo, di cui sembrano palesare la caducità. Rifuggendo e superando i limiti dei supporti statici, le foto incorniciate si staccano dalle pareti, addirittura in maniera violenta, e restano a terra circondate dai calcinacci, simboli del loro impatto fenomenologico.
Ma la scultura che attrae immediatamente l’occhio del visitatore è una creatura particolare: somiglia a una pianta, frutto di un innesto tra natura e artificiale, il risultato mitologico di un capriccio degli dei. Un tronco possente si dirama in tre enormi ombrelli dalle tinte naturali e trova alla base le radici di un cavalletto per tastiere. Il transeunte, il rincorrersi dei tempi, delle forze, degli elementi, un’espressione profondamente concettuale che pur si concede qualche gradevole vezzo estetico, queste sono le suggestioni che giungono al visitatore.
L’attenzione è concentrata sulla forma come espressione della sostanza più autentica o più snaturata, in un gioco degli eccessi domato da un preciso equilibrio sostanziale e dalla consapevolezza della padronanza dello spazio e delle tecniche espressive. Da parte di un artista vivace ed eclettico, impegnato anche nel progetto musicale Above the Tree.
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Complimenti Marco, da quel che vedo il lavoro continua a crescere nella direzione giusta.