Una personale profondamente universale quella di
Paride Petrei (Pescara, 1978; vive a Roma e Pescara), allestita con semplicità certosina.
Il diamante si farà grafite è il titolo che campeggia a matita su un pannello di compensato che nasconde l’installazione che fa da filo conduttore alla serie di undici tele.
Dietro la copertura, celato all’occhio del visitatore distratto, un percorso discendente, definito una Torre di Babele rovesciata, un pozzo, un’artificialissima visione dell’opera umana impegnata nella sottomissione dello spazio naturale, anche a costo del proprio annullamento. La precisione geometrica delle forme sottolinea il calcolo, il fine materiale e razionalizzato; la neutralità delle tinte traspone l’opera in una dimensione irreale e assolutista; l’allestimento dello spazio trasporta il fruitore al di fuori dell’universo fenomenico.
La parabola verso il basso non è una caduta accidentale. L’installazione in legno leggero ha le sembianze di un plastico, un modello preciso che riporta ai progetti delle grandi infrastrutture. Il processo di realizzazione dell’opera è illustrato dalla grafite stessa, abbondantemente e quasi violentemente plasmata sulle tele circostanti. In esse trionfa l’immobilismo utopico:nell’attenta raffigurazione dell’operosità, lavoro di figure di un’umanità primordiale dai volti nascosti o inesistenti e dai corpi ben delineati nelle forme plastiche di matrice classicheggiante.
Numerosi riferimenti all’arte dei totalitarismi e della propaganda ricalcano il concetto di dispiego di mezzi e forze per un’opera non compresa né intimamente condivisa, ma necessaria e inevitabile. Le tinte del grigio, del nero, del rosso cupo sottolineano l’artificio. Grafite e inchiostro in abbondanza assumono a tratti un impatto quasi vinilico, intervallate da tratti di fumoso acquerello. Elementi del disegno tecnico volutamente enfatizzati testimoniano un movimento costante, un divenire irrequieto, una sorta di futurismo rovesciato.
Notevole e quasi sintetica della poetica dell’artista, auto-definitosi un “
utopico megalomane”, un’installazione video in 3d. Anche qui torna il concetto di progetto, riqualificazione, progresso. Un piano di canalizzazione di un rivolo di sangue nella città di Roma, da un Colosseo colmo di purpureo plasma fino al quadriportico di Giano, attraverso la Cloaca Massima. L’uomo è rappresentato adesso con linee squadrate e sembianze anonime, come un automa, ma i suoi movimenti trasmettono infine al fruitore una sorta di inconsapevole sollievo.
Il flusso vitale ritorna prepotentemente alla luce in una spumeggiante immagine finale, in cui la grafica digitale ruba sfumature alla pittura. La natura sembra riappropriarsi del proprio ruolo ancestrale, ma la tematica non può esaurirsi in maniera tanto semplicistica.
L’intero allestimento appare come un episodio significativo di una poetica di profonda riflessione immaginifica, di cui sarà interessante osservare gli sviluppi.