Un tono di voce martellante, perentorio, risuona nella stanza. Le parole sono quelle di We Shall Overcome, un antico Gospel che si lega alla difesa dei diritti civili e agli ideali patriottici. Un testo che diventa protagonista del video di Damir Niksic (Bosnia Herzegovina, 1970) in cui l’artista stesso, vestito con abiti tipici dei Balcani, è ripreso in primo piano, con la fascia nera di censura sugli occhi, come se si trovasse a pronunciare un discorso ad una vasta folla dall’alto di un podio. Oriente e Occidente, Religione Cristiana e Musulmana, due culture delle quali si evidenziano commistioni e basi comuni. Convivenze e contaminazioni che sono al centro di Tra, collettiva che chiude la stagione espositiva della Galleria White Project. Una mostra che vuol essere luogo d’incontro e che simbolicamente trova sede a Pescara, in una città del centro Italia, sottolineando come l’Italia, parte d’Europa circondata dal mare, sia terra d’arrivi e partenze, sempre più scenario di realtà e culture diverse, anche contrapposte. Quello che viene messo in atto dagli artisti non è uno spazio fisico, ma un luogo mentale, ideale, dove le distinzioni si annullano e gli opposti convivono. Un sogno espresso nel memorabile discorso di Martin Luther King pronunciato a Washington il 28 agosto 1963.
In Dream That One e Am That One Day This, Vittorio Corsini (Cecina, 1956) incide direttamente quelle parole su delle lastre di metallo appartenenti a una piccola casa militare. L’illuminazione posta sul retro dei pannelli fa risaltare le lettere il cui riverbero, da semplice luce, diventa portatore di senso, veicolo di pensiero. L’accostamento di elementi contrapposti, per loro natura inconciliabili, crea dei cortocircuiti semantici, dei risultati insoliti.
Martin Kollar (Repubblica Slovacca, 1971) nei suoi New Orleans Landscape fotografa la città americana dopo l’uragano individuando nel tubo di scarico delle roulotte, collegato al condotto di casa, un legame indissolubile con le proprie origini. Fabrizio Tropeano (Pescara, 1979) nell’installazione Senza Titolo unisce l’antico sistema della trappola con il cappio e la rete alla barca a vela. Un’unica struttura in cui la sensazione di libertà si fonde a quella della costrizione.
Josif Kiraly (Romania, 1957) nei suoi Iran Yazd unisce scenari diversi, oppure inquadrature differenti di uno stesso luogo, in un’unica immagine. Una fusione che determina un nuovo insieme, annullando spazio e tempo. Medesima l’operazione compiuta da Anonimo (identità sconosciuta) che nel suo Senza Titolo espone, senza ritocchi o modifiche, una fotografia proveniente dagli archivi di documentazione cinematografica dove i due interpreti di Ben Hur e Messala, in abiti di scena, sono intenti a spingere una Lambretta. Un’immagine nella quale dei nemici storici diventano improvvisamente due amici mettendo tutto in discussione. Privi di coordinate, siamo costretti a riconsiderare la realtà sovvertendo anche le regole più naturali. Posizionata su un basamento in muratura, staccata dal suolo, è una sedia in legno.
Sul piano d’appoggio, con la terra che appare come un mucchio informe, non avendo nulla che la contenga, si trova una pianta. Solidità e fragilità, staticità ed evoluzione, stabilità e movimento contrasti che si fanno stridenti nel dettaglio del piede della sedia temperato fino ad essere estremamente sottile. Fragili Equilibri che Michelangelo Consani (Livorno, 1971) mette in atto con straordinaria eleganza e sobrietà.
cristina petrelli
mostra visitata il 26 maggio 2007
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