La storia di una delle più importanti popolazioni del mondo antico potrebbe sembrare, a prima vista, ormai priva di segreti. Ma non è così. È vero, abbiamo una messe copiosa di fonti scritte e un patrimonio di testimonianze tangibili straordinariamente ricco. Ma la ricostruzione delle vicende di cui furono teatro la città di Matelica e le località immediatamente adiacenti, quali Fabriano e Pitino di San Severino Marche, non cessa di arricchirsi di continui ritrovamenti, che moltiplicano le maglie della trama cronologica che dal IX secolo a.C. si protrae fino al VII.
Di tutto questo hanno voluto dare conto gli organizzatori, con una grande rassegna presso il Museo Civico Archeologico della città marchigiana all’interno dei suggestivi locali di Palazzo Ottoni. L’iniziativa, dunque, documenta i risultati della preziosa e incessante attività di tutela e valorizzazione svolte dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici delle Marche con la collaborazione del locale Museo Civico.
Ma ciò che maggiormente impreziosisce la mostra è l’importanza delle scoperte repertate nelle necropoli, accuratamente illustrate grazie a un ottimo apparato didattico e a supporti visivi, in particolare nella Tomba 182 di Matelica e nella Tomba 1 di Passo Gabella.
Tra i molti reperti venuti alla luce nel corso degli scavi si è scelto di esporre non solo i consueti corredi bellici, costituiti da elmi, schinieri, cinturoni in bronzo, lance di ferro, spade e pugnali di varie dimensioni con impugnature in bronzo finemente cesellate.
Ma, quasi fosse una mostra nella mostra, si può ammirare anche una campionatura significativa degli oggetti legati alla vita quotidiana. Si tratta di una vasta collezione di suppellettili da mensa in ceramica, dalle ciotole alle brocche, dalle anfore al vasellame utilizzato per banchetti. Non mancano infine preziosi monili simboli di rango sociale elevato, dalle armille in argento e avorio alle fibule e agli anelli in argento, ferro e bronzo.
Questi cospicui corredi funerari offrono precisi riferimenti culturali, che consentono di ricostruire usi e costumi dei Piceni e hanno il pregio di rendere un quadro immediato ed esauriente di quanto accadeva in uno dei comprensori più popolati dell’Ager Picenus. Mirabilmente disposto nelle sei sale in cui si articola il percorso espositivo, il composito patrimonio archeologico ivi assemblato racconta una storia ricca di connotazioni simboliche e del fascino di passate stagioni.
Molto interessanti e originali sono le ricostruzioni delle due tombe, una delle quali conserva ancora lo scheletro intatto del defunto; mentre di particolare suggestione è l’uovo di struzzo. È questo un pezzo del tutto originale, finemente decorato con scene mitologiche, che doveva costituire il corpo di una brocca destinata alla mescita del vino. Il visitatore, osservandolo, non potrà fare a meno di sentire echeggiare nelle proprie orecchie il canto delle gesta omeriche di Demodoco.
Mostra in definitiva di eccezionale importanza per la qualità e la quantità delle testimonianze raccolte, nonché per gli approfondimenti di conoscenza a cui inevitabilmente rimanda.