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23
giugno 2009
fino al 5.VII.2009 Pietro Ruffo Pesaro, Centro Arti Visive Pescheria
marcheabruzzi
Bandiere come fogli bianchi, sui quali imprimere istanti complessi. Ipotetici dialoghi intrappolati nella spiritualità del luogo. Una poetica inscindibile dal nostro tempo...
La bandiera racchiude i simboli politici e religiosi di uno Stato; in un drappo di stoffa colorata sono condensate la storia e la cultura di un Paese. Le bandiere di Pietro Ruffo (Roma, 1978) sono riprodotte fedelmente eppur incomplete, poiché prive del colore. Il verde, il rosso e il blu di Hamas, Israele, Libano, Siria, Iraq e Iran lasciano spazio al bianco della carta intelata e al segno leggero della grafite.
Il colore è sostituito da un pattern minuzioso, fatto di piccoli e grandi crani, affastellati uno sull’altro. La bandiera come il teschio umano parrebbero non lasciare alcuno spazio all’immaginazione, poiché simboli immediatamente riconoscibili. Eppure Ruffo, attraverso le sei tele, poste su due livelli del semicerchio dell’ex Chiesa del Suffragio, dà luogo a un’atmosfera sospesa, a tratti esoterica. I testi di geopolitica, riprodotti nella parte inferiore di ciascun dittico, sono tratti da un libro di storia in lingua tedesca e raccontano l’avvicendarsi di etnie diverse sui singoli territori.
La parola inscritta nell’opera rappresenta l’apparato scientifico che, unito alla rappresentazione figurativa, tenta di spiegare la connaturata aggressività dei popoli mediorientali, da sempre in allerta poiché destinati e condannati a difendersi.
Abbandonata l’idea di collocare al centro della chiesa la riproduzione 1:1 di un carro armato (Youth of the hills, 2008), Ruffo sceglie di non invadere lo spazio e concepisce una mostra verticale poiché tesa, instancabilmente, verso l’alto. Tre delle sei bandiere, poste sul secondo livello, sono irraggiungibili allo sguardo umano ma in fondo, sembra dire l’artista, poco importa, perché la texture non cambia. Quella trama di teschi più o meno grandi, realizzata con precisione architettonica, dove sono visibili le tracce di squadre, righe e strumenti del mestiere, ritorna prepotentemente in ogni tela.
Quando l’arte sconfina nel sociale e nella politica si è sempre prevenuti. Lo si è per difesa, poiché umani e dunque dubbiosi, diffidenti. Vorremmo circondarci di un’arte leggera, che distolga dai cattivi pensieri, che non disturbi il torpore in cui siamo violentemente caduti. Da sempre incline a una ricerca che si faccia portatrice di un messaggio, Ruffo non intende provocare uno shock in chi osserva. Piuttosto, cerca d’instaurare un dialogo tra le opere e tra opere e spettatore.
Varcata la soglia della chiesa, la sensazione è quella di esser stretti in un abbraccio. Poi, avvicinandosi alle tele, non si può che soffermarsi sui particolari, sulla complessità di quegli istanti tracciati a matita. E provare a spingere lo sguardo verso l’alto e al di là del nostro ridicolo microcosmo.
Con la consapevolezza che esistono altri mondi, troppo spesso relegati in un angolo buio e silenzioso degli occhi e della mente.
Il colore è sostituito da un pattern minuzioso, fatto di piccoli e grandi crani, affastellati uno sull’altro. La bandiera come il teschio umano parrebbero non lasciare alcuno spazio all’immaginazione, poiché simboli immediatamente riconoscibili. Eppure Ruffo, attraverso le sei tele, poste su due livelli del semicerchio dell’ex Chiesa del Suffragio, dà luogo a un’atmosfera sospesa, a tratti esoterica. I testi di geopolitica, riprodotti nella parte inferiore di ciascun dittico, sono tratti da un libro di storia in lingua tedesca e raccontano l’avvicendarsi di etnie diverse sui singoli territori.
La parola inscritta nell’opera rappresenta l’apparato scientifico che, unito alla rappresentazione figurativa, tenta di spiegare la connaturata aggressività dei popoli mediorientali, da sempre in allerta poiché destinati e condannati a difendersi.
Abbandonata l’idea di collocare al centro della chiesa la riproduzione 1:1 di un carro armato (Youth of the hills, 2008), Ruffo sceglie di non invadere lo spazio e concepisce una mostra verticale poiché tesa, instancabilmente, verso l’alto. Tre delle sei bandiere, poste sul secondo livello, sono irraggiungibili allo sguardo umano ma in fondo, sembra dire l’artista, poco importa, perché la texture non cambia. Quella trama di teschi più o meno grandi, realizzata con precisione architettonica, dove sono visibili le tracce di squadre, righe e strumenti del mestiere, ritorna prepotentemente in ogni tela.
Quando l’arte sconfina nel sociale e nella politica si è sempre prevenuti. Lo si è per difesa, poiché umani e dunque dubbiosi, diffidenti. Vorremmo circondarci di un’arte leggera, che distolga dai cattivi pensieri, che non disturbi il torpore in cui siamo violentemente caduti. Da sempre incline a una ricerca che si faccia portatrice di un messaggio, Ruffo non intende provocare uno shock in chi osserva. Piuttosto, cerca d’instaurare un dialogo tra le opere e tra opere e spettatore.
Varcata la soglia della chiesa, la sensazione è quella di esser stretti in un abbraccio. Poi, avvicinandosi alle tele, non si può che soffermarsi sui particolari, sulla complessità di quegli istanti tracciati a matita. E provare a spingere lo sguardo verso l’alto e al di là del nostro ridicolo microcosmo.
Con la consapevolezza che esistono altri mondi, troppo spesso relegati in un angolo buio e silenzioso degli occhi e della mente.
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a cura di Ludovico Pratesi
Centro Arti Visive Pescheria
Corso XI Settembre, 184 – 61100 Pesaro (PU)
Orario: da martedì a domenica ore 17.30-19.30
Ingresso libero
Catalogo Silvana Editoriale
Info: tel. +39 0721387651; fax +39 0721387652; centroartivisive@comune.pesaro.ps.it; www.centroartivisivepescheria.it
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mi sembra già vecchio come lavoro