Raccontare la precarietà della condizione umana mediante la rievocazione mitologica di figure che ci raccontano di quotidianità domestica congiunta a memorie classiche. Si potrebbe sintetizzare così, con toni che ricordano il franto rimare di un poeta della sofferenza, la peculiarità artistica di
Simona Bramati (Jesi, Ancoran, 1975; vive a Castelplanio, Ancona), a cui la sua città natale dedica questa personale.
Sono presenti ventiquattro tavole realizzate con tecniche miste, tutte appositamente create per lo spazio della Salara. Quasi a voler ideare un orizzonte interpretativo lungo il quale arte e architettura possano dialogare, integrandosi. Due dipinti,
Basileus e
Basilea, di formato 150×300 occupano le pareti frontali, suggellando il momento saliente dell’esposizione. Particolarmente suggestiva l’immagine della donna, i cui tratti austeri e regali del viso e del busto cedono il primo piano alle forme muscolose e disinibite delle gambe, circondate da animali da cortile.
Dalle pareti laterali occhieggia una serie di quadri di varie dimensioni, tra i quali i volti delle tre
Moire, alle prese con la trama del destino dell’uomo. Fonti di perenne inquietudine per il genere umano, la loro immagine risulta nelle tele della Bramati edulcorata da un tratto quasi benevolo e insolitamente ammiccante. Come inatteso risulta l’impatto con la vista delle
Arpie che, svincolate dall’arcaica evocazione di sinistri presagi, assumono sembianze muliebri, che sembrano nutrire il proprio immaginario di sogni e misteri inafferrabili. Non mancano, inoltre, l’ostentata sensualità della maga Circe e la dissacrante trasposizione carnale della leggendaria chioma di Berenice. Ogni opera, benché oggetto di trasposizione, conserva inalterata la principale valenza di un’icona classica.
A commento e complemento di ciascuna tela è presente una rievocazione scritta di brani appartenenti alla tradizione letteraria: dalla
Teogonia di Esiodo all’
Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, guidando il visitatore lungo la penombra soffusa della Salara, in cui echeggiano brividi di sonorità raccolti in ambienti naturali.
Nella prima parte del tracciato, Bramati abbonda nell’utilizzo di un nero carico di brume tenebrose, che poi nelle opere successive, a poco a poco, alleggerisce aumentando la materia pittorica, sovrapponendone strati e liberandone l’espressività al fine di evocare ogni sorta di fragilità. Al termine dell’esposizione, un passaggio laterale immette in un ambiente evocativamente simile a una cripta, in cui viene proiettato un ritratto dell’artista in forma di video-installazione.
Ma il pubblico non ne avvertirà quasi il bisogno, perché la figura di Simona Bramati è ben intelligibile dietro le proprie tele, intenta a difendere un’onestà intellettuale fatta di un romanticismo quasi
d’antan e di un’inclinazione lirica, ironica e insoddisfatta. Il segreto di un amore mai svanito per il mito e per i suoi misteri, come per la vita e la realtà quotidiana.
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che succede? una volta le recensioni erano affilate e acute, ora invece impersonali e un pò markettare...
ma sono storteeee!