L’altro lato dell’immaginazione e del sogno si articola,
fra narrazione ed evocazione, nel secondo appuntamento della nuova stagione
espositiva dello Sponge Living Space, con la doppia personale di Siria
Bertorelli e Beatrice Pucci, intitolata
Olometabolia.
Proprio un romanzo fortemente allegorico, infatti, è alla
base di una delle opere esposte da
Siria Bertorelli (Crema, 1978; vive a Cremona), un
libro d’artista dedicato a
Il gioco delle perle di vetro di
Herman Hesse. Il volume, adagiato
e aperto su un tavolo, già al primo sguardo si palesa anomalo nel sovrapporsi
delle immagini allo scritto, in macchie candide che invadono la pagina e sulle
quali il tratto scuro del disegno dispiega forme, figure e simboli, dal legame
alchemico e allucinato, da miniature surreali.
I supporti sui quali l’artista interviene sono fogli di
vecchi registri e documenti di fine Ottocento nei quali la scrittura si fa pura
memoria, fascinazione per le tracce lasciate nel tempo e finite nell’oblio.
L’operazione dell’artista si carica in tal modo di valenze fortemente
simboliche ed emotive, ricomponendo frammenti di ricordi sconosciuti, c
osì da
creare un terreno di coltura dove affiancare, come negli altri disegni esposti
a parete, metamorfosi e alterazioni organiche, rimando al titolo della mostra,
a mutilazioni e violenze puerili, nelle quali l’infanzia svela la sua anima
meno rassicurante e più ambigua.
Il disegno è per l’artista un eccezionale mezzo per far
reagire il simbolo, e le sue valenze, con la sconfinatezza della fantasia,
tanto da sconvolgere le aspettative dello spettatore e le sue certezze.
Caratteristiche, queste, che si ripresentano con insistenza anche nel lavoro
scultoreo e video di
Beatrice Pucci (Cagli, Pesaro Urbino, 1979), la quale contamina le
stanze e le pareti dell’appartamento con pupazzi onirici e irreali, realizzati
con materiali eterogenei quali cartapesta, plastilina, ferro, ovatta e
raffiguranti imperturbabili ballerine.
Pupazzi che si allontanano dalla marionetta per dimensioni
e finalità; lavori a sé stanti che riverberano tematiche e soggetti che, nelle
animazioni in
stop motion, realizzate con pupazzi simili, completano la tensione
narrativa.
Il video
Imago appare nel buio dell’ultima stanza, mostrandosi in una
luce che “
ha la consistenza di un enigma, la malinconia di una inadeguatezza”, come suggerisce la curatrice Simonetta
Angelini. Una dimensione nella quale l’evanescenza della visione si concretizza
in un ambiente spoglio e opprimente, dove una donna, intrappolata in una crinolina
simile a una gabbia, genera e fagocita oggetti, in una frenetica comprensione e
appropriazione del reale, fino ad arrivare all’emulazione biologica di un
lepidottero, insetto centrale nel racconto, richiudendosi in un soffice
bozzolo.
Una mutazione invisibile, perché vista dal buio
dell’involucro, che annulla le distanze tra spettatore e opera, avviluppando
l’immaginazione e la fiaba in una realtà oscura e destabilizzante.