Si percepisce tutta l’emozione del creare nelle opere su carta di Mario Vespasiani (San Benedetto del Tronto, 1978). Sono dotate di una freschezza d’impostazione che deriva sia dalla tecnica usata che dal soggetto scelto. Un risultato che conserva una sensazione d’urgenza creativa, di necessità nel fermare un’idea: un’immagine nella sua valenza non di ricordo ma di apparizione, di desiderio. Animali ripresi, spesso indugiando sui particolari, in pose statiche o in movimento senza alcuna volontà narrativa o rappresentativa.
Su fogli di carta da imballaggio le sagome di queste figure, definite con tratto leggero, affiorano senza riuscire ad acquistare una consistenza autonoma: incomplete e decontestualizzate diventano figure evanescenti e transitorie. Sono disegni puri un cui l’artista insegue l’eleganza di una linea, la sinuosità di una forma.
Ricordano, da un certo punto di vista, i disegni degli antichi maestri, hanno quel fascino proveniente da una dimensione intima ed estremamente umana nella quale fanno la loro comparsa l’incertezza e il ripensamento. Sarà anche per il tono scuro della carta utilizzata, sulla quale l’effetto del colore e, in particolare, del bianco, ricorda l’uso antico della biacca, ad avvicinarli agli studi preparatori del passato.
La bellezza di queste opere sta tutta nella vibrazione di un segno, nella capacità di emozionare lo spettatore attraverso una spiccata vivacità compositiva.
Pur essendo presentati in cornice e vetro nascono come bozzetti per il recente ciclo di dipinti su tela Anphitheatrum Vespasiani. Questa mostra rappresenta quindi un’occasione particolare per vedere un lato insolito del giovane artista marchigiano. Vespasiani ha abituato negli anni a quadri con finiture perfette, a composizioni pesate, a superfici lisce e patinate, qui invece ci troviamo di fronte ad una lavorazione veloce. Dove l’intelletto lascia spazio alla mano, all’estro.
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cristina petrelli
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