Portata in auge dal nepotismo di Papa Giulio II, nipote di Sisto IV, e dalle alleanze matrimoniali con alcune delle casate più importanti d’Italia, la dinastia dei Della Rovere dura a capo del Ducato di Urbino soltanto tre generazioni, dal 1508 al 1631: quanto basta per far fiorire il rapporto tra arte e politica, già ben avviato da Federico di Montefeltro con Piero della Francesca, il quale scrive per il condottiero il suo trattato di prospettiva e dipinge la sua enigmatica Madonna di Senigallia, tornata per l’occasione nella città d’origine. Rapporto che prosegue con Tiziano, Raffaello, Barocci, Signorelli, Perugino, Bronzino, Bartolomeo della Gatta, Raffaellino del Colle, Bartolomeo Ammaniti, Girolamo Genga, Dosso Dossi.
Alle soglie del Cinquecento, infatti, i Della Rovere, a capo di un arcipelago di signorie con una produzione immensa di beni culturali, sono tra i primi a comprendere i limiti di un primato che deve rinunciare alle conquiste territoriali, assicurandosi una fama internazionale grazie allo splendore della produzione artistica e delle proprie residenze. Il mecenatismo nei confronti di Raffaello e Barocci, o il dono diplomatico per cui vengono usate alcune opere di Tiziano, fanno dell’arte un’arma strategica per la
Ora, in trecento opere, sedici sezioni e quattro sedi ducali viene raccontato il loro mondo, le loro persone, i fasti, gli artisti, le collezioni e gli interessi scientifici. Tra i capi d’opera, come i ritratti dei duchi rovereschi eseguiti da Tiziano, il Giovane con pomo di Raffaello (collocato per l’occasione nella Sala del Trono del Palazzo Ducale di Senigallia) o l’armatura alla romana costruita per l’imperatore Carlo V, la mostra espone dipinti, sculture, disegni, mobili, oreficerie, armi, manoscritti miniati, vestiti e armature un tempo arredi dei palazzi che accolsero quella vita fervente. Senza dimenticare il capitolo straordinario della ceramica pesarese e della valle del Metauro esposte nel Palazzo Ducale di Pesaro.
La sistemazione cronologica voluta da Paolo Dal Poggetto (presidente del comitato scientifico ex Soprintendente delle Belle Arti e direttore della Galleria Nazionale delle Marche) segue la ricostruzione filologica del gusto di un’epoca e di una casata fatta di uomini d’arme e sofisticate consorti, riportando all’antico splendore i Palazzi Ducali di città come Pesaro, Urbino, Urbania e Senigallia che un tempo furono i fulcri del potere marchigiano.
I densi apparati critici dell’imponente catalogo edito da Electa, riescono comunque a dispiegare i sommi capi dell’epoca roveresca e a darcene un’idea a tutto tondo. La storia finisce nel 1631, nel viaggio di una giovinetta, Vittoria, da Urbino a Firenze. A seguirla, è un fiume in piena di opere: le collezioni intere di due dinastie, i Montefeltro e i Della Rovere. Il Ducato passa alla Chiesa e quando anche il capitolo dei Medici si concluderà a Firenze, non si potrà fermare una certa dispersione di opere in Europa, mentre l’importante “libraria” roveresca verrà assorbita dalla Biblioteca Vaticana.
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