Siamo alla terza edizione della fiera sulle still and moving images e sulle installazioni, una fiera rarefatta dove la curatela si può apprezzare senza l’abituale sensazione di sopraffazione che si respira nei contesti fieristici. Chantal Akerman è la guest honor. Dal 16 al 20 ottobre presso il Grand Garage Haussmann – dalla peculiare facciata Art Decò – si tiene la fiera focalizzata sull’immagine. OFFSCREEN presenta dei solo show di artisti dell’avant-garde, sia storici che attuali. Ciascun artista selezionato mostra una pratica sperimentale e predilige le installazioni. Le opere dei 28 artisti ospitati negli 8 piani del garage brutalista sono ibride, si possono incontrare fotografie e video (still and moving images), videogiochi, installazioni di grande formato.
OFFSCREEN non è una fiera tradizionale. Infatti, nell’edificio che, secondo il direttore artistico Julien Frydman, rievoca la chiocciola e quindi il movimento ascensionale del Guggenheim di New York, i lavori dialogano, giostrandosi tra il piccolo e il grande formato, portati in causa con un intento curatoriale, nonostante tutte le opere siano in vendita. Inoltre, per il periodo della fiera, è stata adibita la Maison Offscreen, luogo d’incontro per artisti, galleristi, curatori e collezionisti. La Maison ha preso sede temporaneamente nella struttura dell’Hotel Eldorado, tripudio di carta da parati, pattern dalle fantasie tra l’Art and Craft e l’Art Nouveau. Proprio qui, stanno alloggiando 24 curatori, invitati dalla fiera (12 le prime due notti e 12 le ultime due) a confrontarsi sulle proprie idee espositive.
Novità della terza edizione è la collaborazione con Printed Matter, casa editoriale di NY, che ha portato una selezione di libri che si connettono con gli artisti in mostra e con Artforum che allestisce una stanza completamente ricoperta di recensioni dall’archivio del magazine – importante presa di posizione sul ruolo della critica nella definizione del panorama artistico contemporaneo.
Addentriamoci ora tra le maglie dell’esposizione. Al piano seminterrato troviamo il video Depot (1974) di Susan Brockman (USA, 1937-2001) per la prima presentata in Europa, dalla galleria Soft Network. Si parte dall’idea di camera oscura per mostrare dentro una camera dalle pareti e porta bianche – quasi fosse una scatola per topi – una donna che assume alcune pose plastiche, completamente nuda e inerme.
Salendo incontriamo un’installazione presentata da Goodman Gallery di Alfredo Jaar dal titolo evocativo Searching for Africa in LIFE: sono presenti, come piccoli tasselli racchiusi in un collage digitale, le copertine del magazine fotografico pubblicate dal 1936 (anno della sua fondazione) sino al 1996, in totale 2128. Si può notare come in 60 anni siano pochissime quelle dedicate a protagonisti del continente africano, confermando i pregiudizi raziali ancora in circolo. Di fronte la galleria Harlan Levey Project punta sul lavoro di Tr Ericsson, i Coctkail Paintings. L’artista americano parte da memorie famigliari per indagare come la società impatti sulla vita dei singoli individui, condividendo soprattutto i ricordi materni. I suoi lavori sembrano grandi cartoline sbiadite che portano sul retro tracce di vissuto, sono realizzate utilizzando una miscela di nicotina e alcol che colora la superficie macchiandola con aloni seppia e caramello, facendole assumere un aspetto vintage.
Al secondo piano, incontriamo il lavoro politico di Jonas Englert (galleria Anita Beckers) che mette in luce le connessioni diplomatiche più o meno note tra alcuni protagonisti della storia del Novecento – come Yasser Arafat, Bill Clinton e Itzhak Rabin, Adolf Hitler – concentrandosi visivamente sulla retorica degli incontri, sulla messa in scena e sulle strette di mano. Crea un polittico multimediale inserendo i frame in una griglia con alcune opere d’arte moderna, dallo Sposalizio della Vergine di Perugino a Il giuramento del Grutli di Fussli, sino alla Madonna della Misericordia di Piero della Francesca. Sullo stesso piano, il lavoro fotografico che gioca sulla dilatazione degli oggetti – trasformando il loro stato da solido a liquido grazie alla deformazione della loro immagine – del portoghese Igor Jesus, rappresentato dalla Galeria Francisco Fino. Salendo ancora la lunga rampa sorprende il lavoro di Sarah Vanderbeek (Altman Siegel & The Approach) che dietro il lato estetico nasconde una profonda riflessione su donne che hanno avuto un ruolo nella conservazione e nella curatela museale. Agnes Cowper, ad esempio, ha fotografato gli oggetti e i tessuti pregiati appartenenti alla collezione del Victoria and Albert.
Ancora, al terzo piano il lavoro della land artist Lita Albuquerque rappresentato da Galerie La Patinoire Royale Bach di Bruxelles e di Simons Belleau della galleria canadese Eli Kerr. Simons Belleau, che nel 2023 è stato residente a Roma da Castro Projects, presenta un lavoro – un’installazione a tre canali video – sulle prime riprese di discorsi politici e su come le modalità di approccio alla camera dei capi di stato siano mutati nel tempo. Il 5 ottobre 1947 il Presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman legge in diretta televisiva un annuncio, abbassa di continuo lo sguardo su un foglio che tiene in mano, tradendo così poca disinvoltura e carisma. L’invenzione del telepropter è imminente e necessaria: si passa presto a più sofisticati annunci politici grazie, appunto, al supporto dei “gobbi”. Il sistema dei telepropter permetteva, per la prima volta, al locutore di leggere il testo fissando la cinepresa, grazie a uno specchio semi-riflettente sul monitor. In tal modo, il politico dava l’impressione di sostenere lo sguardo della platea al di là dello schermo.
Al quarto la perfomance di Tarrah Krajnak (Zander Galerie) che prende il via dal libro Examples: The Making of 40 Phtographs di Ansel Adams. Per OFFSCREEN Krajnak usa il suo corpo e i suoi capelli per agire, modificare, manipolare una delle immagini più iconiche di Adams: Clearing Winter Storm, Yosemite Valley 1940. L’immagine porta la memoria della perdita della terra e dei diritti delle comunità indigene. Da menzionare Montrasio arte (Milano) che porta il lavoro di Gordon Matta Clark e di Dennis Oppenheim con un video che documenta l’azione Beebe Lake Ice Cut (1969) di Oppenheim con Matta Clark come suo studente e assistente che poi svilupperà la sua pratica dei “cuts”.
Infine, l’ultimo piano è dedicato alla guest honor, che segue Anthony McCall e Rosa Barba delle scorse edizioni: Chantal Akerman rappresentata da Marian Goodman. All’artista che si è tolta la vita nel 2015 è stata dedicata un’interessante mostra al museo Jeu de Paume che ha il merito di rendere almeno in parte la complessità del corpus di lavori di Akerman che ha avuto una carriera nel cinema oltre che nell’arte e nella scrittura, al confine tra la drammaticità e l’acuta sensibilità di alcuni temi affrontati e la capacità di ironizzare e di sfociare nella commedia – vedi il film-musical Golden Eighties (1985-86). Il lavoro che si dipana nello spazio di OFFSCREEN è costituito da un vecchio video in cui l’artista stessa è distesa sul letto mentre la telecamera scorre orizzontalmente. Accanto al video è esposta una serie di scatti di palazzi di Tel Aviv, immortalati attraverso la finestra della sua abitazione: l’interno e l’esterno sembrano così fondersi in un continuum spaziale e temporale, creando un circuito intimo tra la vita di Akeman e la vita degli altri. Non bisogna dimenticarsi che OFFSCREEN, nonostante la forte anima curatoriale, sia una fiera a tutti gli effetti, quindi concepita per il mercato. La preview si è tenuta il 15 ottobre, il giorno precedente l’overture VIP di Basel Paris che ha portato in città un fiume di appassionati dell’arte contemporanea. Basel, ospitata quest’anno nel luminosissimo Grand Palais, ha inaugurato subito raggiungendo grandi numeri: 195 gallerie partecipanti, tra affermate ed Emergenti, 53 prime partecipazioni e vendite vertiginose – Insile di Julie Mehretu della White Cube è stato venduto per $ 9,5 milioni. L’atmosfera? Febbricitante.
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