Al gate di Paris Orly, direzione Milano Linate, è tutta una sfilata di galleristi, dealers, giornalisti, collezionisti, di addetti ai lavori. Sono quelli che tornano, si trascinano tutti, dicono che è stata una art week «come non se ne vedevano da tempo», di sicuro «meglio di Londra», poi subito «c’erano tanti americani», a suggellare l’eccellenza – gli stessi americani che mancavano all’appello tra i corridoi infausti di Frieze. Chapeau. Alla fine della fiera, Art Basel si è fatta sentire forte, chiara, elegante, maestosa, anche nella versione ridotta parisienne (195 stand contro i 287 della regina madre Basilea, che pure soffre il confronto ravvicinato con Paris, contro i 242 booth di Hong Kong e anche contro i 283 previsti a dicembre a Miami. Giusto per ridimensionare un po’ le cose). Mette tutti d’accordo il rinnovato Grand Palais, finalmente la sede che Art Basel merita – infiltrazioni di pioggia a parte – i giganti blue-chip delle Galleries al piano terra a dare il benvenuto e sopra i giovani, i nuovi progetti illuminati dalla cupola di vetro, tra Emergence e Premise. «Quest’anno è stata la fiera parigina più forte fino ad oggi», rivela senza mezzi termini il gallerista Thaddaeus Ropac. «Oltre a essere un ritorno fantastico al Grand Palais, che ovviamente ha fatto una grande differenza, l’energia e la partecipazione generali sono state eccezionali». Buona l’affluenza, ma mai claustrofobica, che non è un male (il verdetto finale è di oltre 65.000 visitatori). E intanto negli stand, dalla preview vip alla chiusura: vendue, venduto, sold, bollini rossi che si accumulano compassati – con conseguenti (mai famelici) cambi dei booth – e quindi via subito Julie Mehretu da White Cube per $ 9,5 milioni, via per $ 20 milioni il ragno di Louise Bourgeois di Hauser & Wirth («to an esteemed private collection», specificano dalla galleria), via Alice Neel per $ 1,2 milioni da Xavier Hufkens, via per $ 1,2 milioni K di Victor Mann, l’ultimo arrivato sotto l’ala benedicente di David Zwirner. Anche il Presidente Emmanuel Macron, che venerdì era in visita al Grand Palais, ha mancato per poco il Malevich del 1915 da Hauser & Wirth (passato all’asta per £ 33,6 milioni da Sotheby’s nel 2015, a mani basse tra i pezzi forti della fiera), presto sostituito da Rita Ackermann tra i big dello stand. Ma poco importa, è comunque un susseguirsi di grandi nomi, anche stavolta, anche in aria di crisi, il colosso di MCH Group: vedi il Picasso da Nahmad Contemporary, La fenêtre ouverte del 1929, un concentrato di messaggi d’amore criptati che nel marzo 2022 andava da Christie’s per £ 16,3 milioni. Mentre Landau Fine Art ci riprova con alcuni pesi massimi già incrociati tra Maastricht e Basilea, sono esposti uno di fronte all’altro – ma, pare, non in vendita – la coppa di nuvole di René Magritte (La corde sensible, € 35 milioni) e il Murnau mit Kirche II di Wassily Kandinsky (fissava il record d’asta per l’artista nel 2023 da Sotheby’s, aggiudicato per $ 45 milioni).
S’inseguono fili rossi per tentare un ritmo, lungo il labirinto della fiera. Ovunque sogni allucinati, apparizioni, manie, un omaggio ai cento anni di Surrealismo che fa il paio con la – impressionante, per il numero di capolavori in prestito, incluso L’Empire des lumières di Bruxelles – mostra al Centre Pompidou. Ed eccoli: c’è uno stand tutto dedicato al Surréalisme dalla francese Applicat-Prazan, a partire da un Oscar Domínguez da € 1,8 milioni e un Roberto Matta da oltre € 1,2 milioni; c’è un minuscolo delizioso dipinto di Dorothea Tanning da Alison Jacques – appena 19×15 cm – Naufrage quotidien del 1960, nel 2019 passava da Christie’s London per £ 30.000, venerdì risultava ancora invenduto; Jeffrey Deitch espone un Portrait de Madame H di Leonor Fini, anno 1942; e c’è un dialogo museale tra Yves Tanguy, Wifredo Lam, Agustìn Càrdenas e Alicia Penalba da Di Donna – Terre Sacrèe, s’intitola – un equilibrio elegante tra le influenze native di ognuno e le atmosfere elettriche di Paris, che tutto accoglie, e tutto mescola insieme. «La risposta alla nostra presentazione mirata di quattro artisti surrealisti è stata straordinaria», rivela alla fine della fiera Emmanuel Di Donna, founder della galleria. «Art Basel ha attirato un alto livello di collezionisti sofisticati e curiosi, senz’altro stimolati dalle magnifiche mostre museali di Parigi». Intanto, lì fuori, nella nuovissima sede all’83 di Rue du Faubourg Saint-Honoré, Sotheby’s festeggiava venerdì la sua vendita da guanti bianchi, la ormai tradizionale Surréalisme and its Legacy (edizione numero 3), con la Meditative Rose di Salvador Dalì aggiudicata per € 3,9 milioni, La Leçon de choses di Magritte da € 3,8 milioni, La Prima ballerina assoluta di Leonor Fini andata per € 360.000, fino a un totale di € 23,1 milioni (stima € 14,3-20,8 milioni) che per un attimo tiene a bada la parola «crisi» tra le poltrone rosse della saleroom. Ma questa è un’altra storia.
A proposito di riverberi tra Grand Palais e mostre in città. È Tom Wesselmann la superstar indiscussa di Art Basel Paris 2024 – già spopolava nell’edizione regina di Basilea, a giugno, prima ancora al Brafa di Bruxelles a inizio anno, stavolta è tutta un’esplosione di unghie rosse bocche erotiche dischiuse in nuvole di fumo seni come montagne sparpagliati tra i booth. Vedi Smoker #20 (1975) offerto da Gagosian e subito venduto, l’asking price superava i $ 4 milioni. Vedi ancora Vedovi Gallery, con un altro esemplare offerto per $ 4,9 milioni, poi quelli esposti nello spazio A16 da Almine Rech, e così Van De Weghe, con un monumentale Great american nude #73 del 1965 che nel 2021 passava da Sotheby’s NY per $ 3,2 milioni. Chissà che la maxi mostra Pop Forever, Tom Wesselmann &… di casa alla Fondation Louis Vuitton, fino a febbraio 2025, non ravvivi le sorti tiepide del mercato dell’artista – il suo record d’asta è fermo al lontano 2008, quando Great American Nude No.48 (1963) trovava un acquirente da Sotheby’s per $ 10,7 milioni. Attendiamo al varco.
Stesso discorso, a tinte meno patinate, per la mostra sull’Arte Povera a cura di Carolyn Christov-Bakargiev – di scena alla Bourse di Pinault fino a fine gennaio. Al Grand Palais, un’enorme mappa ricamata di Alighiero Boetti – 265×600 cm – occupa un’intera parete dello stand di Tornabuoni Art e risulta venduta già durante la preview (prezzo non rivelato). Solo per dare un contesto: un esemplare di dimensioni analoghe – 259 x 580 cm – ma su un preziosissimo sfondo avorio, trovava casa da Sotheby’s nel 2022 per la cifra monstre di $ 8,8 milioni. Poco distante, nel booth di Acquavella, s’incrocia un altro Boetti monumentale, i suoi Aerei, mentre da Galleria Continua il Buco nero (2010) di Michelangelo Pistoletto trova un nuovo proprietario per una cifra compresa tra € 200.000 e € 600.000. «Con le numerose mostre istituzionali importanti di questa settimana, tra cui la mostra Arte Povera alla Bourse de Commerce», conferma a pochi istanti dalla chiusura Max Falkenstein, Senior Partner di Gladstone Gallery, «abbiamo visto una risposta particolarmente entusiasta alle opere storiche nella nostra presentazione». Intanto, nella saleroom di Christie’s, al 9 di Avenue Matignon, i 34 capolavori italiani esitati tra Avant-Garde(s) including Thinking Italian e successiva Day Sale rievocavano i tempi d’oro con un totale di € 16 milioni, il 100% di venduto, ben 4 opere assegnate per oltre € 1 milione. A spiccare tra les italiens, un Concetto spaziale di Fontana in rosso (€ 3,7 milioni), un Achrome di Manzoni (€ 2,9 milioni), La robe rouge di Gnoli (poco sopra € 1 milione), una Pelle di grafite di Penone (€ 163.800) e guarda caso una sfilza ben assestata di Boetti, a partire dagli Aerei del 1989 (€ 945.000). Parigi continua a pensare italiano, in qualche modo, dentro e fuori dai confini di Art Basel.
Piove senza stop sulla cupola di vetro del Grand Palais, da giovedì a domenica. Mentre sotto prosegue – non bulimica, ma fino all’ultimo – la rivalsa bene orchestrata dell’art market internazionale. «Parigi dimostra che il desiderio di opere eccezionali rimane forte», commenta a caldo Nicolò Cardi, fondatore di Cardi Gallery, che ha venduto tra gli altri Superficie grigia – Graffite 1 di Castellani, anno 1975, per € 280.000. «Dimostra che c’è poco spazio nel mercato per speculazioni gonfiate». Ancora qualche vendita sparsa, a zig zag fra i booth: finisce presto aggiudicato il Joseph Yaeger di Gladstone (£ 75.000), e non c’è da stupirsi, dopo la performance da Phillips della scorsa settimana, con Sphinx without a secret del 2021 che schizzava rapido a quota £ 203.200 da una stima di £ 20.000-£ 30.000. Sempre da Gladstone, via anche Parade nuptiale di Jean Dubuffet (€ 3,8 milioni), Felix Starlight di Elizabeth Peyton ($ 850.000) e Tree 4 di Alex Katz ($ 800.000). Bene anche per Prufrock di Emma Webster, che da Perrotin trova un proprietario il primo giorno per $ 165.000 – Perrotin che ha chiuso oggi, domenica 20 ottobre, dichiarando € 8 milioni di vendite totali. Lee Ufan da Mennour fa doppietta con Dialogue del 2015, € 1,05 milioni, e Response del 2024, $ 900.000 («Abbiamo ricevuto collezionisti di altissimo livello da tutto il mondo che hanno continuato ad acquistare per tutta la settimana della fiera», rivela il founder Kamel Mennour. «Con questa nuova sede, Parigi ha rivendicato il suo meritato status di capitale mondiale dell’arte e della cultura»). Ancora e ancora. Bellissimo lo stand di Eva Presenhuber Gallery, il solo show di Tschabalala Self dal titolo My House («I dipinti si tuffano in diverse associazioni che ho con Parigi, con la Francia, con la cultura francese», spiega l’artista classe 1990), già giovedì pomeriggio tutti i setti dipinti sulle pareti risultavano venduti con cifre a partire da € 230.000. MASSIMODECARLO comunica, tra gli altri, il posizionamento di A Perfect Day di Maurizio Cattelan, anno 1999, per € 250.000. Oltre all’enorme Spider I di Louise Bourgeois, Hauser & Wirth piazza in fretta e furia un recentissimo Not Quite in a Hurry di Mark Bradford per $ 3,5 milioni e Numero Noir #2 di Barbara Chase-Riboud per $ 2,2 milioni. E molti altri in realtà, vedi alla voce «collezionisti internazionali» e «rinnovato ottimismo», al di là dei segnali di crisi. Si chiude il sipario su Art Basel Paris, alla fine della fiera ha infuso una certa dose di fiducia. Verdetto finale a New York.
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