Chi ha detto che si è sempre fatto così, ha sempre avuto torto marcio. Anche nel mercato dell’arte, pare, in quel teatro dell’assurdo scandito da picchi, hype, febbre generale, tempi di rivalsa – talvolta da damnatio memoriae, dal più crudele oblio. Ed ecco che un nome superstar come Simon de Pury sfodera il suo asso nella manica per sconvolgere, ancora, le carte sul tavolo da gioco: un concetto di asta del tutto innovativo, dove i lotti vengono affidati non da privati, da collezionisti o per chissà quale delle tre D (Death, Debt, Divorce), ma direttamente dagli artisti e dalle gallerie. L’obiettivo: rendere proprio loro – artisti e gallerie, esatto – i maggiori beneficiari della speculazione.
«Sono sempre stato sorpreso dal fatto che le gallerie più grandi abbiano permesso che ciò accadesse senza combattere le case d’asta sul loro stesso territorio», rivelava già un anno fa de Pury ad Artnet. «Perché, se le principali case d’asta diventassero i migliori rivenditori, le principali gallerie non potrebbero diventare le migliori banditrici?». Non il primo ripensamento sul sistema, in effetti. Già nel 2020, a Parigi, la blue-chip Perrotin annunciava il lancio di Secondary Market, una vera e propria alternativa alle case d’asta, con una base d’attacco in piena Avenue Matignon e un team di esperti pronti ad acquistare, valutare e rivendere opere con commissioni coerenti con gli standard del mercato. Potere alle gallerie, agli artisti, insomma. Le regole delle aste ripartono da qui.
Qualche dettaglio in numeri sull’iniziativa di de Pury. Il 100% dei prezzi di aggiudicazione – si diceva – saranno destinati agli artisti e alle gallerie che li rappresentano, mentre i migliori offerenti pagheranno un premio del 18% (in parte devoluto a un ente di beneficenza correlato, tematicamente, alla vendita). La prima messa in pratica del progetto? Il 25 agosto, con WOMEN: Art in Times of Chaos, una online sale di opere recentissime, create da artiste come Genieve Figgis, Chloe Wise, Minjung Kim e Allison Zuckerman. Non solo. Il 3% del ricavato sarà devoluto a UN Women, un’organizzazione no-profit internazionale dedicata all’uguaglianza di genere e all’emancipazione femminile, mentre gli acquirenti dovranno impegnarsi a mantenere i propri acquisti per almeno tre anni. I beneficiari della vendita? Semplicemente gli autori – le autrici, in questo caso – delle opere all’incanto.
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