La novità di quest’anno al The Armory Show di New York è stata The AWARE prize, un progetto organizzato in partnership con AWARE, l’associazione francese co-fondata dalla curatrice Camille Marineau, che da anni valorizza artiste donne attraverso progetti a livello nazionale e internazionale.
In occasione dell’evento, è stata offerta una ricompensa di 10mila dollari a June Edmonds, presentata dalla galleria di Los Angeles Luis De Jesus.
Il riconoscimento non era destinato a un allestimento insolito, ma era rivolto a uno stand che aveva scelto di esporre un’artista donna, un fatto considerato oggigiorno come uno svantaggio.
“Il premio è un modo per rendere omaggio a quelle gallerie che “corrono il rischio” di esporre solo donne” ha affermato la curatrice francese in un’intervista su artnet. “La maggior parte delle donne ha meno valore nel mercato dell’arte rispetto agli uomini, quindi è abbastanza coraggioso allestire uno stand solo con un’artista donna“.
In una società in cui le differenze di genere dovrebbero essere superate, i fatti sembrano confutare questa certezza con una scoraggiante verità: dedicare una personale a una donna è un azzardo.
Se vogliamo domandarci cosa vuol dire appartenere al gentil sesso nel mercato dell’arte possiamo rispondere osservando i dati riportati su The French Culture dalla Morineau: “In passato le donne sono state prese in considerazione dalle gallerie molto meno rispetto agli uomini. Nel XX secolo, la maggior parte di esse non aveva una galleria che la rappresentasse e, ancora oggi, le opere che portano una firma femminile hanno un valore molto più basso rispetto a quelle degli uomini (tra il 16-30% in meno)”.
Anche se ci sono dati rincuoranti, come riportato sul The Art Newspaper, in cui è dimostrato come nell’ultimo anno il valore delle artiste nelle gallerie del mercato primario sia in ascesa, tuttavia, per le gallerie che lavorano nel mercato secondario la percentuale che riguarda le artiste donne è ancora bassa.
La discriminazione è un problema reale e le disparità si avvertono anche nei musei: secondo quanto riscontrato nel 2019 da Public Library of Science nelle collezioni permanenti di importanti musei statunitensi solo il 13% sono opere di donne.
È incredibile pensare che persino le artiste più conclamate siano coinvolte in questo sistema svantaggioso. La prima mostra importante di Louise Bourgeois è stata realizzata al MOMA solo nel 1982, all’età di 71 anni. L’esposizione After Life di Marina Abramović, annunciata alla Royal Academy of Arts di Londra per quest’anno, sarà la prima mostra della performer nel Regno Unito e la prima personale femminile alla Royal Academy of Arts nei suoi 250 anni di esistenza. Non è l’unico caso: al Young Museum di San Francisco, dal 9 maggio al 5 settembre è prevista la più grande retrospettiva su Judy Chicago, ormai ottantenne.
Di fronte a questa amara consapevolezza, però, sembra presentarsi qualche risultato positivo: quest’anno proprio a The Armory Show, le artiste donne presenti erano molte di più rispetto alla percentuale media della presenza femminile nelle fiere. C’è da dire che il mondo dell’arte si sta impegnando per garantire alle artiste più valorizzazione. Oltre alle iniziative promosse da AWARE, si aggiungono il “2020 Vision” del Baltimore Museum of Art che prevede una serie di mostre che mettono in discussione il riequilibrio del gender balance. Ma anche FAC, The Feminist Art Coalition ha coinvolto più di 70 istituzioni per presentare esposizioni, spettacoli, conferenze e altri eventi per promuovere l’uguaglianza e il femminismo.
È giusto riflettere su quanto sia necessario rivalutare il ruolo femminile nel mondo artistico e il primo passo per evitare di trascurare la questione della differenza di genere è riconoscere che questa è ancora presente.
Vogliamo auspicare senza illuderci che le iniziative volte a supportare la donna possano essere un mezzo per educare all’inclusione, non solo in un settore come quello del mercato dell’arte ma in tutti gli ambiti.
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