Nella primavera 2021, un Ecce Homo veniva messo all’asta, a Madrid, stimato appena € 1500, come fosse un anonimo seguace di José de Ribera (ve ne parlavamo qui). Venne ritirato prima del verdetto finale, allora, per un eccesso di interesse generale – gli occhi dell’art market tutti puntati su quel dipinto d’eccezione, si levavano le urla «è un Caravaggio!» tra gli studiosi e i critici mondiali. Poco tempo dopo, la Spagna ne bloccava la vendita fuori dai confini. Adesso, tre anni più tardi, il Museo del Prado e la galleria Colnaghi annunciano un prestito del «capolavoro di Caravaggio» al museo nazionale di Madrid, una gentile concessione del nuovo proprietario del dipinto. L’occasione: una mostra speciale dal 28 maggio a ottobre 2024, tutta dedicata al tesoro ritrovato.
Da poco più di mille euro all’incanto a capolavoro indiscusso, ne ha fatta di strada quell’anonimo olio su tela. Raffigura l’episodio del governatore romano Ponzio Pilato che presenta Cristo al popolo, con le parole Ecce homo!, uno dei momenti più drammatici della Passione, ricordato nel Vangelo di Giovanni (19,5).
Da quando il Museo del Prado ha avvisato il Ministero della Cultura spagnolo della rilevanza del dipinto riemerso alla casa d’aste Ansorena, che lo aveva attribuito a un allievo di Ribera, l’opera è stata custodita dalla galleria d’arte Colnaghi, in collaborazione con Filippo Benappi (Benappi Fine Art) e Andrea Lullo (Lullo Pampoulides). Ed ecco il restauro dello specialista Andrea Cipriani e della sua squadra, la supervisione di esperti del governo regionale della Comunidad de Madrid, lo sguardo sempre attento del mercato internazionale. Il risultato? Un’ampia pubblicazione insieme a testi di esperti specialisti tra cui Keith Christiansen, Gianni Papi, Giuseppe Porzio e Maria Cristina Terzaghi, che saranno pubblicati contestualmente all’inaugurazione della mostra maggiolina.
«Il Prado ha svolto un ruolo importante nel recupero di quest’opera», spiega Miguel Falomir, direttore del Museo Nacional del Prado, «allertando della sua importanza il Ministero della Cultura, che ne ha impedito la partenza dalla Spagna. Grazie alla generosità del suo attuale proprietario, il Prado mette ora a disposizione del pubblico e della comunità scientifica un’opera eccezionale di uno dei più grandi pittori della storia». Gli fa eco Jorge Coll, CEO di Colnaghi: «Negli ultimi cento anni, nessun artista più di Caravaggio, con la sua biografia avventurosa e il suo stile inconfondibile, ha affascinato il pubblico di tutte le età e coinvolto studiosi di tutto il mondo. Quest’opera presenta quindi una delle più grandi scoperte nella storia dell’arte, e la presentazione al Prado segna il culmine di diversi anni di lavoro di collaborazione con molti leader nei rispettivi campi. Sono onorato di aver preso parte a questo processo e di aver supportato l’incredibile processo di ricerca e restauro, che ha confermato e rafforzato le nostre impressioni iniziali secondo cui quest’opera è un capolavoro del suo tempo e del nostro».
A riconoscerlo come capolavoro del maestro italiano, oggi, quattro tra i più autorevoli esperti di Caravaggio e della pittura barocca: Maria Cristina Terzaghi (professore associato di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università Roma Tre e membro del comitato scientifico del Museo di Capodimonte di Napoli), Gianni Papi (storico dell’arte e autore), Giuseppe Porzio (professore di storia dell’arte all’Università di Napoli) e Keith Christiansen (curatore al Metropolitan Museum of Art). «La velocità del consenso intorno al carattere caravaggesco della sua riscoperta», commenta Maria Cristina Terzaghi, «è stata assolutamente senza precedenti nella storia critica del pittore, su cui gli studiosi raramente si sono trovati d’accordo, almeno negli ultimi quarant’anni. Far parte di questo processo è stata per molti versi un’opportunità unica nella vita, di cui sono immensamente grato».
Ancora qualche dettaglio sulla sua provenienza (e sul curriculum espositivo): l’Ecce Homo di Caravaggio (1605-09 circa) fu forse menzionato per la prima volta in un impegno scritto a Roma tra l’artista e l’aristocratico Massimo Massimi, firmato il 25 giugno 1605. Fu poi elencato nella collezione di Juan de Lezcano, segretario di Pedro Fernández de Castro, ambasciatore spagnolo a Roma fino al 1616, e poi viceré alla corte di Palermo, fratello di Francisco de Castro, viceré di Napoli, nel 1631. L’opera è poi citata nell’inventario redatto alla partenza di García de Avellaneda e della moglie di Haro Delgadillo a Madrid (Delgadillo fu il secondo Conte di Castrillo, 1588-1670, e Viceré di Napoli dal 1653 al 1659), per poi essere incluso nella collezione privata di Filippo IV di Spagna nel 1664 e citato tra i lavori nell’appartamento del figlio Carlo II dal 1701 al 1702.
Nel 1821, Evaristo Pérez de Castro Méndez (1769 – 1849), diplomatico spagnolo e membro onorario dell’Academia de San Fernando, ricevette il Caravaggio in cambio di altri dipinti donati all’Accademia di belle arti. È rimasto di proprietà della famiglia fino al cambio di proprietà nel 2024. E presto incrocerà lo sguardo del pubblico, nelle sale del Museo del Prado.
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