Deaccessioning, la vendita delle collezioni museali che continua a far discutere l’America (e non solo). Nell’articolo pubblicato sul n.110 di exibart.onpaper (potete recuperarlo qui) vi avevamo lasciati con una domanda: «Come potrebbe essere accolto il deaccessioning in Italia, la culla della cultura, la patria di quei nomi che hanno fatto grande la Storia dell’arte?». Le risposte di Laura Valente, Presidente del Museo Madre di Napoli dal 2018, sono arrivate poco prima della notizia con cui, proprio stamattina, abbiamo comunicato il cambio al vertice della Fondazione Donnaregina. Di seguito le sue parole.
Come considera il deaccessioning? Come un’opportunità per risollevare l’economia e ridare linfa al settore, specialmente in questo momento difficile? O più come una minaccia, con il rischio di disperdere le collezioni?
«Sono fermamente contraria al deaccessioning, ancor più in un Paese come il nostro in cui le collezioni sono un patrimonio dei cittadini, incarnano la “reputazione”’ dello Stato. I Costituenti scolpirono tra i principi fondamentali dello Stato l’art. 9: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Le dico di più, personalmente credo si dovrebbe addirittura sostenere e garantire anche la storia dei musei privati, non statali quindi ma nazionali per vocazione e ruolo. La drammatica istantanea del rapporto fra pandemia e lavoro culturale potremmo sintetizzarla con il licenziamento, da parte del MoMa di New York, di un dipartimento fondamentale come quello educativo all’indomani del primo lockdown. Il modello neo liberista, che ci offre come via d’uscita dalla crisi la svendita dei gioielli di famiglia, dimostra in questo momento storico tutta la sua fragilità. Dobbiamo avere il coraggio di intendere la cultura come una risorsa anche economica, rivedendo il comparto e i suoi meccanismi di funzionamento in una prospettiva di sviluppo sostenibile, con un diverso modo di pensare il suo ruolo e senso all’interno della società. E certo partire dalla vendita del nostro patrimonio culturale non è la strada che seguirei».
I musei americani, spesso, hanno optato per la vendita di grandi nomi (Brice Marden, Mark Rothko e Robert Rauschenberg, solo per citarne alcuni). E voi, al MADRE, ci avete mai pensato? Quali opere sottoporrebbe al deaccessioning? Secondo quale criterio?
«La Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee non ci ha pensato neanche per un momento, e in perfetto accordo con il socio fondatore che per noi è la Regione Campania. Abbiamo optato per una strada più difficile e complessa. Che è quella dell’intervento sulle dinamiche di gestione e produzione, che ci ha permesso di rivedere meccanismi interni e puntare su un nuovo modello di museo. Durante il primo lockdown, abbiamo commissionato all’artista di origini nigeriano-giamaicane Temitayo Ogunbiyi un playground in cui i bambini potessero giocare in sicurezza nei cortili del museo. L’opera è stata disegnata da Ogumbiyi a Lagos, in Nigeria, in contatto diretto con la nostra direttrice artistica Kathryn Weir (a Parigi) e il nostro team di produzione (a Napoli). Una volta definito il progetto, la costruzione e l’allestimento di tutti gli elementi della scultura sono stati affidati al know-how dell’imprenditoria locale campana selezionata per l’occasione attraverso una procedura pubblica. Giocherai nel quotidiano, correndo, questo il titolo dell’opera, è diventata il simbolo, nell’estate del 2020, del ritorno alla normalità per i bambini e le famiglie della comunità del Madre. Allo stesso tempo ha definito un nuovo modello di produzione sostenibile, in cui i costi sono stati abbattuti quasi del 70%, budget di risparmio investito nel coinvolgimento a contratto di 40 operatori didattici, artisti creativi protagonisti di MadreFactory2020, dedicata a Gianni Rodari e alla sua Grammatica della Fantasia. Sono stati oltre mille i bambini che con le loro famiglie hanno trascorso l’estate (da giugno a settembre, programma gratuito), scandendo la loro giornata tra laboratori e spettacoli dedicati ai più piccoli. Forbes America ha citato l’esperienza di MadreFactory – in un ampio reportage dell’agosto 2020 – come un modello da seguire, titolando il servizio: “A Napoli, Temitayo Ogumbiyi crea un’installazione dove i bambini possono giocare liberamente”. L’opera di Tayo rimarrà nella collezione permanente del Madre. Continueremo su questa strada».
Se non proprio al deaccessioning, avete mai considerato la cessione a terzi dell’uso di qualche bene del museo? Potrebbe trattarsi di una soluzione proficua, anche a livello finanziario? Penso ad esempio alle opere nei magazzini, che non trovano spazio nelle sale espositive e potrebbero essere valorizzate altrove…
«La cessione a terzi è una pratica possibile solo se fondata su una visione strategica e con un progetto culturale condiviso. Ma per chi vale questa soluzione? Per musei che hanno nei depositi opere appetibili, verso dove? Per quale pubblico? Con quali investimenti? E via dicendo. I musei già praticano i prestiti con un loan fee, spesso scontato del 50% se si resta nell’ambito del pubblico, annullandolo se si tratta di istituzioni amiche. Il Ministero dei Beni Culturali può incidere concretamente in un settore che è in ginocchio. Non basta l’art bonus, purtroppo, che al Sud non ha sfondato. Non bastano i finanziamenti di “sostegno e ristoro” fin qui adottati per uscire dal tunnel. Siamo ad una svolta epocale, una cesura storica tra il prima e il dopo. Ci vuole il coraggio della semplificazione. Semplificazione. E ancora semplificazione. Con lo snellimento della burocrazia, fermo restando il controllo rigoroso del rispetto delle procedure, saremmo a metà strada per cominciare a risolvere le cose e rimettere in moto il comparto concretamente. Perché una cosa è certa: torneremo a visitare i musei, ad andare a teatro, a commissionare agli artisti opere che raccontino il tempo che ci è dato di vivere, i suoi cambiamenti, i suoi orizzonti. Ma nulla sarà come prima».
Quali alternative proporrebbe per garantire la salute e la cura del settore museale?
«Non ci sono ricette e stiamo ancora attraversando le maree di un cambiamento che non sappiamo dove ci porterà. Quest’anno il Museo Madre è stato costretto, come tutti, ad annullare e rimandare mostre ed eventi programmati da tempo. Ma non ci siamo mai fermati e non solo perché le nostre attività sono emigrate sul web, che ha nel sito la “porta del museo del XXI secolo”. La nostra alternativa la chiamiamo MadreTerra e in assoluta controtendenza abbiamo deciso di incrementare “performativamente” il patrimonio. Adeguando la propria azione strategica alla storia di questo anno difficile, e cogliendone le opportunità anche alla luce di un approccio etico all’organizzazione e gestione, produzione e fruizione dell’arte contemporanea, la Fondazione Donnaregina ha deciso che le mostre annullate dovevano essere trasformate in un progetto per-formativo di aumento di patrimonio, favorendo acquisizioni di opere di artisti legati alla storia dell’istituzione, molti di loro con opere in comodato diventate nel tempo iconiche per il Madre (come quella di Bianco Valente sulla terrazza del Madre, omaggio ad Annamaria Ortese e al suo Il mare non bagna Napoli). Il programma, per cui è stato scelto il nome simbolico di MadreTerra, vedrà in primavera un riallestimento tematico della collezione al secondo piano, che si arricchirà appunto del dialogo con le nuove acquisizioni, anche nell’ottica di una virtuosa rete di rapporti che il museo ha coltivato, negli anni, con il comparto produttivo della regione. Terrae Motus di Lucio Amelio nacque sulla spinta di un‘emergenza collettiva che ha prodotto una collezione leggendaria. Il terremoto dei nostri tempi è il Covid19. Siamo dentro una rivoluzione di processo e non di prodotto. E non è più tempo di mostrifici, copyright Salvatore Settis».
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