Categorie: Mercato

Deaccessioning: l’opinione di Clarice Pecori Giraldi

di - 19 Dicembre 2020

Deaccessioning, la vendita delle collezioni museali che continua a far discutere l’America (e non solo). Nell’articolo pubblicato sul n.110 di exibart.onpaper (potete recuperarlo qui) vi avevamo lasciati con una domanda: «Come potrebbe essere accolto il deaccessioning in Italia, la culla della cultura, la patria di quei nomi che hanno fatto grande la Storia dell’arte? Sarebbe inteso come un’opportunità per rafforzare l’economia, sul modello americano? Oppure più come una minaccia, con il rischio di disperdere le tanto celebrate collezioni del Bel Paese?». A parlarcene, oggi, è Clarice Pecori Giraldi, Art Advisor con una carriera straordinaria nel mondo delle aste, da Sotheby’s a Christie’s a Phillips.

Intervista a Clarice Pecori Giraldi, Art Advisor

Deaccessioning: una strada non facilmente percorribile, oggi, in Italia. Ma proviamo a immaginare che cosa accadrebbe se, per andare incontro alla crisi, la vendita di opere museali diventasse una soluzione sempre possibile. Si tratterebbe, allora, di un’opportunità per risollevare il settore? O forse più di una minaccia, con il rischio di disperdere le collezioni?
«Facciamo alcune premesse: a) tutti i musei espongono solo una parte di quello che possiedono; b) molto spesso non si investe nella ricerca e nello studio del contenuto dei magazzini; c) l’arte deve essere valorizzata e questo significa esporla, studiarla, proporre delle interpretazioni e allestimenti innovativi. Nel mondo anglosassone, in particolare quello americano, i lasciti ai musei servono per evitare di pagare le tasse di successione. Motivo per cui spesso è assente l’obiettivo di completamento di una collezione esistente presso quel museo. Con questa premessa, è abbastanza fisiologico che alcune opere vengano poi vendute per poter sostenere spese per acquisizioni mirate. Prendiamo l’Everson Museum di Syracuse, che ha venduto un olio di Pollock per finanziare acquisti di artiste donne e artisti non-caucasici. Non mi sembra si stia assistendo alla vendita di opere iconiche e legate all’identità di uno specifico museo, mi sembra piuttosto che la decisione di alienare ricada su opere di cui esistono altri esempi in collezione (v. Rothko per il San Francisco Museum). Alla specifica domanda per l’Italia, non vedo alcuna possibilità di dispersione. Le opere importanti sono vincolate per cui non potrebbero essere vendute all’estero».

I musei americani, spesso, hanno optato per la vendita di grandi nomi (Brice Marden, Mark Rothko e Robert Rauschenberg, solo per citarne alcuni)…
«È proprio per il motivo che spiegavo prima, queste sono le opere che vengono donate per motivi fiscali».

Quale strategia consiglierebbe di attuare, in Italia, per selezionare le opere da mettere all’asta?
«Partiamo dal presupposto che la vendita sia necessaria per motivi di liquidità, nel qual caso due sono le strade: vendere numerose opere di medio/basso valore, oppure vendere poche opere di grande valore. Il nostro patrimonio non possiede opere d’arte di artisti del XX secolo che sono economicamente equiparabili a Rothko, Marden e simili, per cui stiamo parlando di opere del XIX o precedenti. La prima opzione non danneggerebbe più di tanto il patrimonio artistico, ma per recuperare una cifra che faccia la differenza bisognerebbe inondare il mercato, comportando un ulteriore abbassamento del valore di queste opere. Per cui temo che l’opzione più concreta sarebbe quella di vendere alcuni capolavori. I musei stranieri – dal Getty al Louvre – sarebbero felici di avere l’opportunità di acquistare un’opera del Bernini dalla Galleria Borghese!».

Clarice Pecori Giraldi.
Ph. Marco De Scalzi courtesy: Collezione Giuseppe Iannaccone

Ritiene che la cessione a terzi dell’uso di qualche bene del museo potrebbe essere una valida alternativa al deaccessioning? Si potrebbe considerare questa come una soluzione proficua, anche a livello finanziario? Penso alle opere nei magazzini, che non trovano spazio nelle sale espositive e potrebbero essere valorizzate altrove…
«Mi sembra improbabile che opere ritenute non rilevanti per un museo italiano siano invece rilevanti per un altro museo, al punto da pagare un canone per esporle. Diverso è quando si concedono dei prestiti per motivi di studio: questa è l’attività principale degli studiosi e dei musei. Stiamo parlando di coprire i costi dei restauri, magari, ma sicuramente non di cifre che possono risolvere il problema della liquidità».

In un caso o nell’altro, sembra che l’idea di arte come patrimonio stia pian piano attecchendo anche in Italia, con lo sviluppo di servizi di valutazione dei valori economici e dei rischi.
«Infatti, anche se sono le istituzioni private ad essersene rese conto, con conseguenze molto diverse. Unicredit, ad esempio, ha deciso di dismettere le sue collezioni, mentre Banca Intesa investe e acquisisce. Anche in Italia si iniziano a selezionare professionisti che si occupano del risk management delle opere d’arte».

Un’ultima domanda ipotetica: se un museo si rivolgesse a lei per definire una strategia e ritrovare la linfa perduta, che cosa consiglierebbe prima di tutto?
«Di essere onesti e pragmatici e guardare la propria collezione: esiste un reale interesse da parte del pubblico a visitarla e scoprirla? In Italia abbiamo troppi musei o spazi che tali vorrebbero essere e ci disperdiamo. Mentre bisognerebbe offrire meno ma meglio, con percorsi educativi e allestimenti che variano, senza per forza bisogno di mostre per attirare visitatori».

«Un’ultima riflessione: il passaggio di proprietà va visto anche come un’opportunità. Ad esempio, penso al museo privato cinese che acquistò il nudo sdraiato di Modigliani in un’asta a New York. Questo museo non avrebbe mai avuto l’opportunità di acquistare un’opera cosi iconica, se fosse dipeso solo dai musei europei e americani. Così, invece, un capolavoro del XX secolo può essere ammirato da migliaia di visitatori cinesi. Chiudo con una notizia che non ha avuto la dovuta visibilità: a Londra la Royal Opera House ha messo in vendita, per motivi di liquidità, il ritratto eseguito negli anni Settanta da David Hockney a uno dei direttori. L’opera è stata venduta all’asta e acquistata da un membro del Board della Royal Opera House, che l’ha concessa in prestito al teatro. Un circolo virtuoso».

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