Da Artemisia Gentileschi a Marinella Senatore, passando attraverso Flora Yukhnovich, Anna Weyant e Cecily Brown. «Cosa può fare una donna?». Se lo chiedono oggi il direttore Fabrizio Moretti e il collezionista Christian Levett, nel talk moderato da Margherita Solaini in occasione della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze. Nel frattempo ne abbiamo parlato proprio con lei, Specialist, Associate Director 20th Century e Contemporary Art di Phillips. Per uno sguardo a un mercato complesso, che nel 2021 rappresentava soltanto l’8% del fatturato dell’arte globale (Artmarket.com). Tra picchi all’incanto, fuochi fatui e tentativi di – agognata, di certo combattuta – emancipazione.
«Mostrerò alla Vostra Illustre Signoria cosa può fare una donna», diceva Artemisia Gentileschi al suo mecenate, Don Antonio Rufo, in pieno Seicento. Che cosa è cambiato da allora?
«Tutto e niente. In apparenza adesso le donne hanno gli stessi diritti degli uomini, ma in realtà spesso devono fare almeno il doppio per dimostrare il loro valore e combattere i pregiudizi. Artemisia è ancora una figura molto contemporanea per la forza con cui è sempre andata avanti, nonostante difficoltà come la perdita della madre in giovane età, lo stupro, il processo, il trasferimento in una città nuova, lo scontro con una realtà professionale ostile alle donne. Oggi la narrazione deve cambiare in modo che, come diceva Artemisia, “le opere parlino da sole” e l’unico parametro di giudizio sia il merito».
Guardiamo ai più celebrati nomi internazionali, da Flora Yukhnovich a Cecily Brown. Ma anche a Frida Kahlo, che nel 2021 ha superato il record dell’amato Diego Rivera. Possiamo considerare le impennate in asta degli ultimi tempi come un naturale allineamento rispetto al loro effettivo valore? Forse le stime iniziali sono sempre piuttosto basse per le donne, rispetto ai loro equivalenti maschili?
«Ultimamente c’è grande attenzione alle artiste donne e molte di loro, sia contemporanee come Flora Yukhnovich e Jade Fadojutimi, sia moderne come Joan Mitchell o Helen Frankenthaler, stanno raggiungendo e talvolta superando le quotazioni degli uomini. Per darle una proporzione, però, pensi che l’opera più costosa realizzata da un artista vivente uomo è il famosissimo Rabbit di Jeff Koons, che è stato venduto per 91 milioni di dollari nel 2019, e quella di un’artista vivente donna è Propped di Jenny Saville, che nel 2018 è stata pagata 12,4 milioni, cioè circa l’85% in meno. Questa enorme disparità di prezzo non corrisponde al valore ed è chiaro che c’è ancora molto lavoro da fare per arrivare all’uguaglianza».
Negli ultimi tempi abbiamo assistito a incanti di sole artiste donne – una sorta di campionato dell’arte separato, tutto al femminile. È una mossa che giova al mercato delle artiste, a suo parere?
«Per il momento sì. Se si entrava in una fiera o in una casa d’aste dieci anni fa, i lavori realizzati da donne erano pochissimi, quindi penso sia giusto che oggi ce ne siano il più possibile anche sul mercato. In futuro, com’è fisiologico, ci sarà un assestamento che porterà a maggiore equilibrio. Non mi piace l’effetto quote rosa e l’obiettivo finale è quello di essere nello stesso campionato, ma, per poterlo fare, è necessario poter giocare ad armi pari».
Soffermiamoci sull’Italia, allora. Quali sono le artiste “nostrane” che spingono sull’acceleratore, tra aste e fiere internazionali?
«Mi viene in mente subito Marinella Senatore, che sta facendo un grande lavoro a livello globale. E poi Giulia Cenci, con le sue creature distopiche, e Beatrice Marchi, che dà vita a un universo femminile onirico e delicato. Non dimenticherei coloro che hanno scelto di stabilirsi qui per l’ineguagliabile patrimonio artistico e culturale italiano, come Oxana Tregubova, un’artista emergente di origini ucraine che mischia arte antica e contemporanea e ha lo studio a Firenze».
C’è qualche rappresentante interessante attualmente alla BIAF, da questo punto di vista?
«Alla BIAF brilla un’eccellenza italiana e femminile come l’antiquaria Alessandra Di Castro».
Restando entro i confini, è stato detto tante volte che la Biennale di Cecilia Alemani, a Venezia, sia un’edizione tutta al femminile. E proprio negli ultimi mesi artiste come Paula Rego e Leonora Carrington hanno fissato risultati importanti nelle vendite in giro per il globo – una sorta di effetto-Biennale. Che cosa suggerisce questo dato, rispetto alla strategia per valorizzare le artiste?
«Questa straordinaria edizione della Biennale di Venezia è stata un’occasione unica per dare visibilità alle opere di tante artiste donne che hanno lavorato in momenti diversi nel tempo e nello spazio. Ho trovato geniale l’espediente delle capsule con cui Cecilia Alemani ha aperto per noi veri e proprio squarci di meraviglia. Tutte le rappresentazioni istituzionali, a partire dalle mostre nei musei, hanno un effetto sul mercato, spesso per la semplice ragione che fanno vedere al pubblico, collezionisti inclusi, il lavoro di artisti che spesso prima non apprezzavano o non conoscevano».
A questo proposito, Phillips adotta una linea particolare per la promozione delle opere femminili?
«Phillips costituisce un’eccellenza e un’eccezione nel mondo dell’arte perché la maggioranza del nostro staff di alto livello, compresa la Chairwoman, Cheyenne Westphal, è al femminile. Questo ci permette di cogliere immediatamente le migliori opere di donne, portando a grandi risultati. Nell’Evening Sale di giugno 2022 a Londra, per esempio, i primi nove lotti in catalogo erano tutti di donne, e hanno realizzato cifre molto alte rispetto alle stime precedenti all’asta».
Due nomi di artiste emergenti da tenere d’occhio – magari attingendo dalla vendita New Now di Phillips di questa settimana – e perché.
«Amo molto Chloe Wise, che realizza ritratti introspettivi e tremendamente contemporanei, bellissimi. Mi piace anche Donna Huanca, un’artista che lavora attraverso numerosi mezzi espressivi, in particolare la performance, e utilizza il corpo femminile per esplorare lo spazio e trovare la propria identità».
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