La faccenda della broker dell’arte Mary Boone, che sta scontando una pena detentiva di 30 mesi per frode fiscale, è cosa vecchia.
La maggior parte dei suoi crimini riguardava la pretesa di detrazioni fiscali false: un bonifico bancario da 9,5 milioni, un rinnovo dell’appartamento da 800mila dollari e una spesa per lo shopping da 19mila furono tutti cancellati come spese aziendali deducibili.
La sua situazione ora sembra peggiorare poiché è stata coinvolta in nuovi problemi legali. Il mese scorso, l’ex direttore della galleria di Boone, James Oliver, ha intentato una causa contro il suo ex capo. Boone – che dopo la condanna ha chiuso la sua galleria – è accusata di “appropriazione indebita di opere d’arte preziose” e anche di aver trattenuto i salari da Oliver, che ha lavorato alla Mary Boone Gallery dal 1995 fino alle sue dimissioni a marzo 2019, due mesi prima della chiusura della galleria.
La gallerista è abituata ad affrontare la legge: nel 2016, l’attore Alec Baldwin la citò in giudizio, dopo aver acquistato un’opera di Ross Bleckner scopertasi poi un falso. La galleria allora fu costretta a dare un risarcimento di più di un milione di dollari all’attore. Nel 1999, a causa di una mostra di Tom Sachs, che includeva fucili e proiettili fatti a mano, fu accusata di distribuzione illegale di munizioni e resistenza all’arresto.
La causa sostiene che prima della sua condanna a febbraio 2019, Boone abbia venduto tre delle opere della galleria – pezzi di Brice Marden, Eric Fischl e un ritratto di Boone di Francesco Clemente – per oltre 10 milioni di dollari in tutto. La causa sostiene che Boone abbia trasferito i profitti da tali vendite direttamente su un conto personale, eliminando la quota del 10 per cento di Oliver su tutte le vendite in galleria. La causa si combina con l’accusa che Boone e la galleria debbano a Oliver almeno 44.325 dollari in salari non pagati. La sua giustificazione è stata che avrebbe avuto bisogno di quel denaro una vola uscita dal carcere.
Anche la data di nascita della gallerista non è un numero certo. Non è dato sapere se sia nata nel 1951 o 1952, a conferma che i numeri contano davvero poco per lei. I suoi genitori erano immigrati dall’Egitto a Erie, in Pennsylvania. Quando Mary aveva tre anni, suo padre morì e la sua giovane madre si trasferì con le sue due figlie a Pasadena, in California, per vivere con i parenti. A 19 anni iniziò la sua carriera nel mondo dell’arte gestendo la piccola galleria Bykert in Madison Avenue. A metà degli anni ’70, la Bykert affondò e Boone era senza lavoro, ma sapeva cosa voleva: una galleria tutta sua. Il suo primo artista fu il giovane pittore Ross Bleckner, che le permise di aprire un piccolo spazio a Soho. Bleckner poi presentò Boone a un giovane artista di nome Julian Schnabel, un cuoco di linea in un ristorante locale che aveva guadagnato qualche soldo extra dipingendo il soffitto di Bleckner. Schnabel trascinò Boone nel suo studio, dove guardò le sue enormi tele figurative. Boone lo assunse e il suo secondo solo show in galleria segnò il successo per entrambe.
Nel 1982 il New York magazine le dedicò una copertina con il titolo: “The New Queen of the Art Scene”. Era sfrontata e aggressiva, come gli artisti che sceglieva, negli anni si unirono a lei Jean -Michel Basquiat, Barbara Kruger, Eric Fischl e Brice Marden. Fu la prima gallerista a richiedere liste d’attesa per i collezionisti per acquistare opere che non erano neppure state prodotte, e anche la prima a dire no ai collezionisti.
Quando il mercato dell’arte si è schiantato nel 1990, Mary Boone fu criticata per il suo ruolo nel mercato infuocato del decennio precedente. Boone fu accusata di esagerare con i suoi artisti o di spingerli a rilasciare opere minori per soddisfare la domanda del mercato. In una successiva intervista con la rivista W, Boone spiegò: “Penso di aver perso la strada. Erano gli anni Ottanta. Ero alle prese con fama e fortuna.” Dopo il crollo del mercato dell’arte del 1990, Mary Boone ha evitato il fallimento vendendo alcune opere della sua collezione personale. Molti dei suoi grandi artisti sono andati in altre gallerie, tra cui Salle, Marden e Georg Baselitz; sebbene Kruger, Fischl e Bleckner rimasero.
Il resto è storia più recente, fatta di frodi e tribunali.
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