Sarà l’aria di mare, sarà il carattere solare e il contesto piuttosto soleggiato dell’autunno partenopeo, sarà che hai ancora in bocca il sapore della sfogliatella riccia… fatto sta che quando entri al complesso monumentale di San Domenico Maggiore per visitare Edit sei già di buon umore.
Nel chiostro ti accolgono alcuni pezzi di design messi lì per la fiera e sapientemente alternati a elementi di statuaria propri al convento. La coda per salire al piano di sopra, se ci vai a mezzogiorno, può essere lunghetta, ma se alzi lo sguardo ti pregusti grandi cose intravedendo i finestroni e i luminosi corridoi del convento. Mentre sei in coda scambi quattro chiacchiere con chi ti è vicino (vicino ma non troppo, causa distanziamento sociale) e il gioco è fatto: il tuo turno è arrivato ed eccoti già faccia a faccia con il primo, appassionato e appassionante espositore. Non ha l’accento campano, non stupirti: questa fiera è stata in grado di attrarre aziende e creativi da tutta Italia e anche un po’ oltre. Non solo, sembra quasi che qua il melting pot funzioni a meraviglia: l’azienda veneta ha collaboratori meridionali, l’azienda siciliana si affida (tra gli altri) a un designer calabrese e produce lampadari che saranno venduti in Veneto, l’azienda friulana annovera dei libanesi tra i suoi designer, l’architetto casertano ti parla con accento romano e lavora con un’azienda della provincia beneventana…
Se la definizione di design editoriale data da Domitilla Dardi era chiara, vedendo dal vero i prodotti/opere e chiacchierando con chi li presenta alla fiera, essa diventa chiarissima: si va dalla architetto/artista che produce collage in analogico e poi li ripropone (digitalizzati) come motivo di un’originalissima carta da parati, alla creativa che ha iniziato realizzando a uno a uno piatti e altre suppellettili di ceramica da collezione e che ha poi trovato un modo per rendere questo processo riproducibile in piccola serie. Foscarini presenta, nella splendida sede del Teatro San Carlo, delle lampade in serie ma tutte diverse, progettate da Andrea Anastasio esposti vicino ai coloratissimi e armonici divani e sedute di Moroso, reinterpretazione sperimentale di Martino Gamper.
La fiera non sembra rivendicare un tema in particolare, se non ovviamente il design editoriale, e forse è meglio così: si avverte una libertà di espressione artistica e concettuale, pur nell’armonia generale dell’evento.
C’è chi si interessa al riuso di materiale di scarto di produzione aziendale (Gae Avitabile), chi mette l’accento sul processo di produzione a controllo umano e manuale (Fabscarte, AllegraHicks), chi punta sulle evidentissime competenze tecniche della propria azienda (De Castelli), chi sull’utilizzo di lavorazioni manuali (la paglia di Vienna della sedia Frattini Frilli). C’è chi difende la nobilissima lavorazione del vetro soffiato rispetto al prodotto industriale e alle imitazioni in plastica (Sylcom), chi punta sull’innovazione nell’uso del materiale e sullo sfruttamento delle risorse locali (i tavolini in pietra lavica dell’azienda siciliana Make your own Path). Nella sezione giovani, Seminario, attira sia per presenza fisica che per la proposta concettuale e funzionale, il “Cabanon da viaggio” di Duilio Secondo studio, che rilegge alcune proposte di Le Corbusier adattandole a bisogni emersi in tempi recentissimi: il modulo permette infatti di riunire in un metro cubo apribile le funzioni di riposo, di lavoro e di studio, ricreando quindi uno spazio di intimità e riservatezza per lavoratori in smart working o per i figli di famiglie che vivono in pochi metri quadri.
La plastica, grande protagonista del design anche d’autore degli anni 60 e 70 e ancora oggi molto utilizzata nel design industriale, sembra qui scomparire quasi completamente (o completamente), dando spazio alla pietra e al grande ritorno del marmo (divertente il set di scolaposate e scolapiatti in marmo, reperito nella sezione dedicata ai giovani designer). L’intramontabile legno riesce ancora a sorprenderci (come nella splendida declinazione policroma dell’armadio Nanda, ideato da Serena Confalonieri. Presente (e fa un figurone) il nobilissimo vetro in infinite declinazioni di forme e di colori. Stupefacente il rame, con le sue qualità antibatteriche naturali e nelle diverse sfumature offerte come una palette dalle reazioni chimiche alle quali è sottoposto.
La ceramica, invece, è protagonista indiscussa delle istallazioni ospitate dal Museo Archeologico Nazionale (Ceramiche Gatti, designer Andrea Anastasio), e dal Museo Filangieri (Bosa, designer Jaime Hayon), uniche due tappe a pagamento della fiera.
Ne abbiamo già parlato: la paglia di Vienna è intrecciata a mano, il vetro è soffiato a bocca, gli elementi del collage sono pazientemente ritagliati, il rame è punzonato…Tecniche tradizionali e artigianali, ma non solo: tagli laser, calandratura di metalli, piegatura e compressione della pietra con macchinari industriali si incontrano da Edit. Sono benvenuti anche accostamenti audaci ma funzionanti di possibilità contemporanee e tecniche tradizionali, come nel caso del led con il vetro soffiato (Sylcom) e reinterpretazioni di tecniche antiche, come l’intarsio, di cui Delsavio propone una versione contemporanea, modulabile su richiesta, seguendo i pattern proposti da designer grafici.
Forme piatte addio! A Edit si è molto giocato con la forma organica e con il tema vegetale e animale, si è schiacciato l’occhio al barocco, si sono visti intarsi, collage, sovrapposizioni, forme organiche e piatti, giochi di prospettive. Si tratta, come spesso accade, di un modo per reagire alla cupezza dei tempi?
In conclusione: Edit è stata una fiera generosa ma non soffocante, intelligente e attuale, un’occasione di incontri con espositori gentili e appassionati. Un evento che speriamo si possa ancora riproporre.
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