Categorie: Mercato

L’esportazione di un bene culturale: il caso della Medusa di Caravaggio (I PARTE)

di - 24 Settembre 2020

Il signor E.Z. è proprietario di un dipinto su scudo rappresentante una “testa di Medusa”, attribuita a Caravaggio, identica all’esemplare conservato agli Uffizi di Firenze. Il proprietario vuole vendere l’opera ad una banca statunitense. Presenta quindi la richiesta di libera circolazione all’Ufficio Esportazione Beni Artistici di Roma.

Il Comitato tecnico scientifico dell’Ente esamina il dipinto e lo ritiene di particolare rilevanza nell’ambito della pittura caravaggesca. Ne consegue, dapprima, la comunicazione di preavviso di diniego e, poi, il provvedimento amministrativo definitivo che nega l’attestato di libera circolazione. Esperito senza soddisfazione il ricorso gerarchico, il proprietario ricorre al Tar per il Lazio lamentando che: a) il diniego impedisce la valorizzazione dell’opera, in quanto l’acquirente l’avrebbe certamente esposta al pubblico; b) la mancata autorizzazione alla vendita comprime il diritto di proprietà in assenza di un indennizzo e ciò costituisce motivo di illegittimità costituzionale ai sensi dell’art. 9 Cost., che tutela il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico nazionale, e dell’art. 42 Cost., che tutela il diritto di proprietà.

Con il ricorso al Tar il signor E.Z. ha anche impugnato il parere del Comitato tecnico scientifico che attribuisce il dipinto, senza alcun dubbio, a Caravaggio. In proposito rileva il ricorrente che laddove la pubblica amministrazione nega la libera circolazione dell’opera l’attribuisce senz’altro a Caravaggio; laddove invece deve acquistarla l’attribuisce in modo incerto e altalenante allo stesso artista. Sul punto il Tar afferma che la Relazione tecnica circa l’opera è un atto istruttorio completo, ben motivato e immune da vizi, quindi l’attribuzione dell’opera a Caravaggio è certa per unanime consenso della Comunità scientifica, così come dimostrato anche dalla ricostruzione della tecnica pittorica. Più in particolare l’istruttoria riguardante l’opera ha dimostrato che il dipinto per cui è processo costituisce una prova preliminare del dipinto oggi conservato agli Uffizi. Infatti, mentre sull’opera di prova sono rinvenibili più correzioni che sono emerse dall’analisi scientifica del dipinto, la seconda (cioè quella esposta agli Uffizi) contiene dei cambiamenti esecutivi modesti in corso d’opera e di poco conto. Data l’importanza del committente dell’opera, il cardinal Francesco Maria del Monte, e del destinatario della stessa, il granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici, che l’ha ricevuta in dono dallo stesso cardinale, il Caravaggio evidentemente ha optato per la realizzazione di una prova “preliminare” (quella oggetto del processo) e poi per la realizzazione dell’opera definitiva (quella conservata agli Uffizi).

Circa la mancata valorizzazione del bene attraverso il diniego di libera circolazione, il Tar sostiene che il rilievo è infondato in quanto l’acquirente non è un ente pubblico ma un privato; quindi la trasmissione del bene da un privato ad un altro non garantisce la fruibilità pubblica del dipinto.

Circa l’eccezione di incostituzionalità, il Giudice Amministrativo afferma che il diniego di libera circolazione non è un provvedimento espropriativo del bene in quanto esso rimane nella proprietà e nel godimento del privato. Nel contempo il legislatore, emanando la disciplina dei beni culturali, ha operato un giusto bilanciamento tra la tutela del patrimonio artistico nazionale e il diritto di proprietà. Nell’ambito di tale bilanciamento ha scelto di far prevalere il primo su una delle molteplici facoltà che di regola appartengono al secondo, quella della libertà di vendita. In altre parole, non è incostituzionale il sistema laddove, per tutelare un bene culturale di eccezionale rilevanza, fa divieto al proprietario di venderlo all’estero. Né tale limitazione, che non si risolve in una espropriazione, merita di essere accompagnata da un indennizzo.

Il Tribunale regionale amministrativo ha dunque respinto il ricorso giudicando il provvedimento di diniego legittimo in quanto privo di errori e vizi, compensando tra le parti le spese di causa data la problematicità del caso sottoposto a giudizio.

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