«Ogni società, ogni generazione falsifica ciò che più desidera». Lo diceva Mark Jones, ex direttore del Victoria and Albert Museum, e Georgina Adam dedica un intero capitolo allo “tsunami dei falsi” in Dark Side of The Boom. Due nomi per tutti: Wolfgang Beltracchi (in realtà Wolfgang Fischer), il falsario che abbindolò anche Christie’s e Sotheby’s prima di essere incastrato da un tubetto di colore; e certamente l’italianissimo Icilio Federico Joni, il contraffattore di dipinti antichi che coronava con feste sontuose ogni colpo andato a buon fine. Insomma, di falsi spacciati per capolavori il mercato dell’arte è stracolmo, al punto che Tim Hunter, titolare di Falcon Fine Art, sostiene che «il 90% delle opere proposte non è buono». Forse un po’ estremo, è vero, ma rende l’idea di un garbuglio dal quale è difficile svincolarsi, intessuto com’è di azioni legali, colpi di scena e bugie.
Modigliani, Giacometti, Rothko, ma anche Vermeer, Rubens, Van Dyck: l’elenco degli artisti vittime di falsificazione si perde nelle pieghe del tempo. E non è tutto, perché anche i falsi d’autore (le riproduzioni dichiarate, per intenderci) stanno via via acquisendo un certo valore sul mercato, tanto che nel 2019 una versione seicentesca della Gioconda è stata battuta da Sotheby’s per $1,7 milioni. Ma cambiamo per un attimo prospettiva, perché oggi vogliamo soffermarci su un fenomeno diametralmente opposto: il caso in cui un’opera venga acquistata come copia (o come dipinto anonimo, o comunque di poco valore) per poi essere riqualificata, a posteriori, come capolavoro di un grande artista. Che cosa cambia a quel punto? Il valore sul mercato, esatto. Qui di seguito cinque episodi con risvolti recenti, a testimonianza di una Storia dell’arte in continua, inaspettata evoluzione.
È il 2014 quando, presso la Casa d’Aste Soga di Bratislava, un certo Clément Guenebeaud si aggiudica un Busto di Papa per 47mila euro. L’autore? Secondo il catalogo, uno “Sconosciuto scultore italiano”. Ma il nuovo proprietario non ci sta e contatta, a posteriori, lo studioso Francesco Petrucci, per richiedere una valutazione di quell’opera anonima e tentare di darle un nome. La scoperta, allora, è sconvolgente. Secondo l’esperto, si tratta di un capolavoro scolpito nientemeno che da Gian Lorenzo Bernini: il Busto di Papa Paolo V, per la precisione, realizzato nel 1621 e poi scomparso nel 1893 in seguito a un’asta della Collezione Borghese, dove risultava attribuito alla mano di Alessandro Algardi. Non esattamente un Signor Nessuno, insomma. A un anno di distanza dall’incredibile scoperta, nel 2015, la scultura di Bernini è stata acquistata dal Getty Museum, in una trattativa privata mediata da Sotheby’s. La cifra? Stavolta ben 30 milioni.
Ci spostiamo in Inghilterra. Nel 2006 il chirurgo Lancelot William Thwaytes affida a Sotheby’s un dipinto ricevuto in eredità dalla sua famiglia. Si tratta, secondo gli esperti della casa d’aste, di una copia de I Bari di Caravaggio, e come tale viene venduta all’asta e aggiudicata per 46mila sterline. A comprarlo, nominalmente, è Orietta Adam, ma a finanziare l’investimento è Denis Mahon, grande collezionista e storico che lo identifica come il capolavoro dipinto da Michelangelo Merisi in persona. Non una copia, quindi, ma un’opera analoga a quella custodita in Texas, al Kimbell Art Museum di Fort Worth. A confermarlo, a breve, sono anche Antonio Paolucci, ex direttore dei Musei Vaticani, e Mina Gregori, celebre esperta di Caravaggio. Insomma, improvvisamente non ci sono dubbi: il dipinto è originale e vale 10 milioni di sterline. E il povero Lancelot William Thwaytes, che era convinto di aver concluso un buon affare? Nessun risarcimento, per lui, e a niente è valsa la causa intentata a Sotheby’s per non aver riconosciuto l’autore del dipinto: secondo il giudice, la qualità «non era abbastanza alta da indicare che potesse trattarsi di un Caravaggio» prima che Mahon, dopo averlo acquistato, lo facesse restaurare. Oggi l’opera è custodita nell’Ashmolean Museum di Oxford, Regno Unito.
Nel 1975 un operaio della Fiat acquista – quasi per caso – un paio di bei dipinti a un’asta delle Ferrovie dello Stato, di quelle che mettono in vendita oggetti smarriti e ritrovati sui treni. Ma chi avrebbe mai potuto immaginare che quelle due tele, dimenticate da un passeggero “distratto”, fossero in realtà il bottino di un furto mal riuscito? Nessuno, a quanto pare, perché i due quadri vengono messi in vendita per un totale di 45 mila lire, senza troppe elucubrazioni. Solo nel 2014, ben quarant’anni dopo, la svolta. Il figlio dell’operaio – ormai in pensione – studia architettura e, sfogliando un catalogo di Gauguin, trova una somiglianza con uno dei due quadri appesi da tempo immemore nella cucina di casa, in Sicilia. Seguono gli accertamenti ed ecco la sorpresa: i due dipinti sono originali e valgono, rispettivamente, tra i 15 e i 35 milioni (Gauguin) e circa 600mila euro (Bonnard).
C’era una volta un Renoir al mercatino delle pulci. Non è una storia da quattro soldi – o forse sì, in effetti – ma una cronaca iniziata nel 2009 da una bancarella in Virginia. La signora Marcia Martha Fuqua, figlia di una pittrice e appassionata d’arte, acquistò un piccolo dipinto anonimo per soli 7 dollari. Speranzosa, lo portò alla casa d’aste Potomack per rivenderlo e scoprì di avere tra le mani un autentico Renoir. Il valore? Secondo gli esperti, una cifra compresa tra i 75.000 e i 100.000 dollari. Da quel momento, però, la faccenda si fece più complessa. A quanto pare, l’opera era stata donata negli anni Trenta al Baltimore Museum of Art da un collezionista, e proprio da lì fu rubata, nel 1951, senza lasciare traccia. E così, nel 2014, il tribunale ha affidato Paysage Bords De Sein al Baltimore Museum. A nulla sono valse le recriminazioni della signora Fuqua, contrapposta al Baltimore in una causa a cui il giudice distrettuale Leonie Brinkema ha messo un punto definitivo. E qualcuno ricorda di aver visto quel dipinto molto tempo prima del 2009, già negli anni Ottanta, a casa della madre di Marta Fuqua…
Il caso di rivalutazione per eccellenza, anche se, tutt’oggi, sono molte le voci discordanti. Attribuito a Giovanni Boltraffio, allievo di Leonardo, il Salvator Mundi fu aggiudicato a un’asta londinese di Christie’s, nel 1958, per 45 sterline, e poi comprato nel 2005 per 1.175 dollari da Baton Rouge, in Louisiana. Nel novembre 2017, da Christie’s, il principe saudita Bader bin Abdullah al Saud paga 450milioni di dollari per la stessa opera, stavolta attribuita alla mano di Leonardo; l’aggiudicazione più alta di sempre per un’opera d’arte, con oltre 15 minuti di offerte incessanti. Da quel momento in poi la storia la conosciamo tutti (o meglio, non la conosce nessuno, visto che del Salvator Mundi si sono perse le tracce).
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