Secondo un articolo pubblicato ieri dal Financial Times, una nuova figura di collezionista arriva dal Brasile, ricchissimi, al pari dei più ricchi europei e americani, con lo stesso potere d’acquisto, ma diffidenti, e soprattutto non legati all’idea di collezionare status symbol.
Questi nuovi ricchi si sono formati negli anni Novanta, grazie alla vitale e sofisticata scena artistica brasiliana, delle sue istituzioni che lavoravano in un paese che solo allora stava raggiungendo la stabilità economica. Hanno un legame profondo con la storia del loro paese e con l’arte contemporanea sudamericana, e allo stesso tempo lottano contro le tasse e la burocrazia per arricchire le loro case con opere di artisti europei e statunitensi.
Il più noto tra questo gruppo è Bernardo Paz, un ex magnate minerario che ha trasformato un vasto tratto di terra nel mezzo del Brasile, senza sbocco sul mare, nel Centro di Arte Contemporanea di Inhotim. In questa collezione che si espande in maniera tentacolare nello spazio esterno, opere di brasiliani e stranieri vengono svelate dalla vegetazione lussureggiante. Paz rifiuta la definizione di collezionista, e con il suo parco ha una funzione sociale, mira a diventare un esempio per tutto il mondo. Dato il momento di crisi che il Brasile sta attraversando, che è fisiologico secondo Paz, i collezionisti hanno tirato un po’ la cinghia. Paz dalla sua si propone di continuare nella sua impresa del “Inhotim Pavilhão”, portando grandi artisti a lavorare direttamente sul territorio.
Altro esempio di collezione illuminata quella di José Olympio Pereira, presidente e amministratore delegato di Credit Suisse Brasile e di sua moglie. Collezionisti che dichiarano di voler andare in profondità, di preferire una collezione con molte opere di uno stesso artista che un lavoro per molti artisti.
La loro collezione è fatta la 90 per cento di brasiliani come Tunga e Cildo Meireles, di cui non si preoccupano del valore che acquisteranno in futuro. (Roberta Pucci)