Sul mercato dell’arte, nell’ultimo anno, sembra di aver sentito proprio tutto. Aste e fiere hanno cercato strade alternative per sopravvivere – dagli incanti online, alle vendite cross-category, alle famigerate online viewing rooms. Sotheby’s ha battuto Christie’s in modo netto, con un vantaggio del +40%, come non accadeva dal 2004. Per far fronte all’emergenza, alcuni musei americani hanno messo all’asta le proprie collezioni, facendo risuonare la parola deaccessioning anche al di qua dell’oceano. E ancora, i Millennials si arrogano senza indugio il ruolo da protagonisti, con una passione per l’arte digitale, sempre più tech e a portata di click. Tutto giusto, ma in numeri? In un’annata così fuori dalle righe, il report The Art Market 2021, firmato dall’economista Clare McAndrew e pubblicato da Art Basel e UBS, arriva forte e chiaro più che mai.
Prima informazione, i risultati delle vendite globali. Arte e antiquariato hanno raggiunto la cifra di $50,1 miliardi nel 2020, in calo del 22% rispetto al 2019 e del 27% in confronto al 2018. Ben diversa, senz’altro, la situazione delle online sales, per cui i medesimi settori hanno toccato un tetto di $12,4 miliardi, raddoppiando i numeri del 2019 con una quota record, pari al 25% del valore di mercato.
Un’analisi dei centri nevralgici dell’arte. Stati Uniti, Regno Unito e Cina guidano il valore delle vendite mondiali con una percentuale dell’82% (uguale al 2019): gli USA mantengono la posizione di leader con una quota del 42%, seguiti dalla Cina e dal Regno Unito, alla pari con il 20%. Le vendite nell’art market statunitense sono scese del 24% a $21,3 miliardi, ma rimangono del 76% al di sopra del livello del 2009. Parallelamente, quelle della Cina sono calate del 12% a $10 miliardi, mentre il Regno Unito ha subito una diminuzione del 22%, fino a $9,9 miliardi (il livello più basso in un decennio, ma ancora del 10% sopra la recessione del 2009).
Si passa ai dealers, le cui attività sono state inevitabilmente minate nel corso dell’anno passato. Dopo un aumento del 2% nel 2019, il 2020 ha registrato un calo delle vendite del 20%, raggiungendo i $29,3 miliardi. Tuttavia, scrive McAndrew, «la capacità di ridurre i principali costi operativi ha permesso ad alcuni dealer di mantenere una buona redditività nel 2020»: il 28% di loro è stato più redditizio rispetto al 2019 e il 18% ha mantenuto un livello stabile di profitto netto. E per il futuro? La maggior parte dei commercianti (una percentuale del 58%) si aspetta un miglioramento delle vendite nel 2021, mentre il 27% ha previsto risultati stagnanti e il 15% attende un peggioramento ulteriore.
Qualche numero sulle aste, che registrano un totale $20,8 miliardi: $17,6 miliardi per gli incanti pubblici (30% rispetto al 2019) e $3,2 miliardi per le trattative private (+36% rispetto al 2019). Paese leader delle aste 2020 è la Cina (36%), seguita sul podio da Stati Uniti (29%) e UK (16%), mentre il settore predominante è quello del Post-War e dell’Arte Contemporanea (55%). Risultati negativi, poi, per l’arte impressionista e post-impressionista, «la categoria dominante un trentennio fa», che ha mostrato il più grande declino in valore rispetto all’anno precedente, con vendite in calo di oltre il 50%. Sotheby’s ha registrato un totale di vendite pari a poco più di $5 miliardi, mentre Christie’s ha raggiunto $4,4 miliardi (entrambe, nel 2019, chiudevano con $5,8 miliardi). Al terzo posto, tra le top-tier case d’asta, troviamo Poly Auction, seguita da China Guardian, Heritage Auctions e Phillips. Il lotto più caro venduto durante lo scorso anno? Il Trittico ispirato all’Orestea di Eschilo (1981), aggiudicato da Sotheby’s per 84,6 milioni.
Procediamo con le fiere. Neanche a dirlo, quelle tradizionali, in presenza, sono state quasi tutte sospese, a partire da Art Basel Hong Kong, cancellata lo scorso marzo, e inclusa TEFAF Maastricht, costretta a chiudere in anticipo per i casi di COVID-19. Delle 365 fiere pianificate, dice McAndrew, il 61% è stato annullato, il 37% ha organizzato eventi dal vivo, mentre il 2% ha riprogrammato eventi ibridi di persona o online. La quota di vendite delle fiere d’arte provenienti da eventi live è diminuita drasticamente nel corso dell’anno (solo il 13% delle vendite totali dei galleristi, con un’ulteriore percentuale del 9% realizzata attraverso le sale d’esposizione online delle fiere – le ormai note OVR). Per quanto riguarda l’approccio dei collezionisti, il 41% degli intervistati ha riferito di aver fatto un acquisto in una fiera nel 2020, mentre il 45% dice di aver comprato attraverso una OVR.
È record per le vendite online, che hanno raggiunto la cifra stratosferica di $12,4 miliardi (il doppio rispetto al 2019). Anche in percentuale, la quota delle vendite online ha registrato un’evidente impennata, passando dal 9% del totale nel 2019 al 25% nel 2020: «È la prima volta che la quota di e-commerce nel mercato dell’arte ha superato quella della vendita al dettaglio generale», scrive McAndrew. E ancora: «Alla domanda sul futuro, il verdetto è stato quasi unanime: il 94% delle case d’asta intervistate si aspetta che le vendite online aumenteranno nei prossimi cinque anni».
Uno sguardo ai collezionisti: come ha influito la pandemia sulle loro attività? Le indagini su 2.569 HNW collectors hanno evidenziato un impegno attivo nel mercato dell’arte, nonostante il COVID-19. Per dirla in numeri, il 66% degli intervistati ha riferito che il proprio interesse sia addirittura aumentato con l’emergenza sanitaria: l’81%, nel corso del 2020, ha comprato da una galleria e il 54% all’asta, con una selezione equilibrata di opere di artisti viventi e deceduti (nei mercati asiatici, in particolare, si registra la quota più alta di opere di artisti viventi). Ma chi sono i collezionisti più attivi? I Millennials, a ulteriore riprova dei dati già resi noti da Bloomberg; secondo il report di Art Basel e UBS, il 30% dei giovanissimi avrebbe pagato arte per più di 1 milione di dollari a fronte del 17% dei cosiddetti Boomers. Da notare, inoltre, che le donne hanno speso più degli uomini nel 2020 – in media, 154mila dollari contro 147mila – con picchi negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia e in Cina (in Italia, come in Germania, Messico e Hong Kong, la spesa maschile resta più alta di quella femminile).
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