Categorie: Mercato

Italians ad Art Basel Hong Kong. Intervista al curatore e al direttore dell’IIC

di - 21 Maggio 2021

Dopo due giorni di preview vip, l’attesissimo appuntamento di Art Basel Hong Kong apre finalmente le porte al pubblico dal 21 al 23 maggio. Tra gli oltre 100 espositori internazionali, di cui 56 satellite booth, incontriamo Italians, lo stand collettivo sostenuto dall’Istituto Italiano di Cultura di Hong Kong che riunisce 8 importanti gallerie italiane – ve ne parlavamo qui. Artiaco, Cardi, Continua, MASSIMODECARLO, e ancora Maggiore, Rossi&Rossi, Mazzoleni, Noero: quale immagine restituiranno, all’estero, del famoso Italian Style? Lo abbiamo chiesto al direttore dell’IIC di Hong Kong, Stefano Fossati, e al curatore del progetto, Fabio Cavallucci.

Intervista a Stefano Fossati, direttore dell’IIC di Hong Kong

Italian Style, un concetto complesso da tradurre in parole. Lei come lo definisce? «L’obiettivo del progetto è quello di offrire un’immagine della creatività che si richiama alla cultura dell’Italia. Più in particolare, raccogliere in un unico contenitore (che per il momento è l’omonimo, neonato, sito web) le iniziative sul design, l’arte e – se sarà possibile – la moda, promosse dall’Istituto Italiano di Cultura di Hong Kong. Un obiettivo molto modesto che non ambisce a definire una categoria estetica così ampia. Abbiamo però in programma di proporre interviste ad artisti, creativi e professionisti italiani sul loro modo di lavorare e di produrre, sulla loro sensibilità, il rapporto con il pubblico e il mercato. Speriamo che attraverso le loro riflessioni ci si possa avvicinare alla comprensione dello “stile italiano”, non tanto per, appunto, definirlo in astratto, ma per apprezzarlo imparando a leggerne e comprenderne meglio le espressioni. Come operatore culturale, mi auguro anche che questa attività inviti il pubblico straniero ad apprezzare il nostro Paese».

Ad Art Basel Hong Kong, quest’anno, Italians porta in scena 8 importanti gallerie italiane unite in un unico booth. Che cosa rappresenta questa scelta in termini di immagine e di promozione?
«La collaborazione di otto gallerie così significative per l’arte italiana contemporanea ha permesso di realizzare un’esposizione che, seppur molto ridotta (80 mq: non ci è stato possibile ottenere di più) e con evidenti lacune, riesce a fornire un’immagine articolata della ricerca artistica italiana più recente. La presenza delle opere di Morandi, gentilmente concesse dalla galleria Maggiore, e di Fontana, della galleria Massimo De Carlo, rappresentano un richiamo (quasi) universalmente riconoscibile alla grande tradizione italiana. Sul versante, opposto, della contemporaneità, ho personalmente molto apprezzato lo sforzo del Maestro Giulio Paolini nel creare un’opera appositamente per questa mostra».

Giulio Paolini, Hic et nunc, 2021. Photo © Luca Vianello, Torino. Image Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino © Giulio Paolini. Artwork Courtesy Alfonso Artiaco, Naples, Italy
Giulio Paolini, Scomposizione (Splitting-up), 2021. Photo © Luca Vianello, Torino. Image Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino © Giulio Paolini. Artwork Courtesy Alfonso Artiaco, Naples, Italy

In quale misura il decreto “Cura Italia” – e, in particolare, il “Fondo per la promozione integrata” – hanno influito su questo progetto?
«Per quanto riguarda le attività degli Istituti Italiani di Cultura (che rappresenta solo un frammento dell’articolata visione programmatica del DL 18/2020) il Cura Italia ha sicuramente rappresentato un forte stimolo, non tanto in termini quantitativi, ma soprattutto programmatici. Il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale già da anni aveva attivato il programma Vivere all’Italiana per indirizzare e sostenere la programmazione culturale degli Istituti con dei fondi integrativi dei loro bilanci ordinari. Il Cura Italia ha imposto una riflessione supplementare sull’internazionalizzazione delle imprese, in un momento estremamente drammatico per l’economia mondiale; riflessione che, personalmente, mi ha indotto a indagare maggiormente le dinamiche dell’industria culturale e a cercare anche nuovi schemi e strategie diverse di promozione culturale. Un approfondimento che ha portato a realizzare, oltre alla mostra di Art Basel, anche Design Made in Hong Kong (qui), un progetto di collaborazione internazionale nel settore del design che ha coinvolto numerosi professionisti italiani».

Intervista a Fabio Cavallucci, curatore del booth Italians

Di recente, da Christie’s HK, Warrior di Jean-Michel Basquiat ha conquistato il mercato asiatico con un’aggiudicazione di oltre $41 milioni. A che punto siamo invece con la vendita di opere “Made in Italy”?
«Onestamente non sono particolarmente esperto di mercato, né tanto meno di mercato asiatico. Da una ricerca che abbiamo fatto all’inizio di questa impresa per vedere se ci fossero opere nelle collezioni di Hong Kong, si è capito che tolte le star, come Morandi o Fontana, i collezionisti della regione non conoscono molto l’arte italiana. Per questa ragione un evento come questo è particolarmente significativo, perché supportando il mercato sostiene anche la diffusione della cultura».

Michelangelo Pistoletto, conTatto, 2017. Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA. Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio
Vittoria Chierici, Gruppo di Plotino, 2021. Courtesy of Rossi & Rossi and the artist

Nel booth Italians troviamo artisti molto diversi tra loro, da Giorgio Morandi a Paola Pivi, da Getulio Alviani a Francesco Vezzoli. C’è una chiave di lettura per metterli in dialogo, al di là del Paese d’origine?
«La domanda che ci siamo posti fin dall’inizio è proprio questa: esiste un Italian Style, una linea stilistica, di gusto, che attraversa l’arte così come la moda, il design, la cultura italiana in generale? La risposta è sì, esiste. O meglio, siamo tutti convinti che ci siano dei caratteri che distinguono l’arte e la cultura italiana da quella francese, tedesca o americana, ma quando cerchiamo di definirli questi divengono sfuggenti, imprendibili. La mostra Italians, riguardo a questa domanda, non rappresenta pertanto una risposta, ma soltanto il punto di avvio di una ricerca che l’Istituto di Cultura di Hong Kong intende perseguire nel corso di un progetto lungo un anno. Per il momento, sul piano curatoriale, ho lavorato su accostamenti, rimandi, collegamenti a distanza. Ci sono in mostra dei fiori di Morandi ripresi letteralmente nelle ceramiche di Bertozzi e Casoni, ma anche riferimenti floreali di Gian Marco Montesano o Nicola De Maria. Oppure molte opere che fanno riferimento alla classicità, come i gessi di Paolini, o il volto di una scultura antica di Vezzoli, o ancora i busti marmorei fotografati e stampati su marmo di Elisa Sighicelli. E poi la linea astratta, da Fontana a Biasi, a Bonalumi, e finanche alle cascate di perline di Paola Pivi. Insomma la chiave di lettura non poteva essere né storica né critica, ma basata sulle sottili connessioni che attraversano l’arte italiana nel corso dei decenni».

Che cosa ricerca oggi il pubblico di Hong Kong nell’arte italiana? Che cosa la rende speciale e riconoscibile?
«Non so esattamente cosa ricerca il pubblico di Hong Kong e, del resto, come dicevo prima, non è facile individuare i caratteri che rendono l’arte italiana riconoscibile. Ma di una cosa sono abbastanza certo: questo rappresenta un buon momento per porre l’arte e in generale la cultura italiana sotto i riflettori. La pandemia, che ha procurato e sta ancora procurando tante vittime, ha però finito per porre l’Italia sotto i riflettori dell’attenzione internazionale. La ripresa dopo questa crisi dovrà cercare di spingere molto per promuoverla nel mondo. E l’Istituto di Cultura di Hong Kong, con questa iniziativa, ha già cominciato».

Getulio Alviani , Superficie a Testura Vibratile, 1974. Courtesy of Mazzoleni, London-Torino
Giorgio Morandi, Fiori, 1949. Courtesy Galleria d’Arte Maggiore g.a.m., Bologna/Milano/Paris
Gian Marco Montesano, Tra Tutti Gli Altri Li Ho Riconosciuti, 2009. Courtesy Cardi Gallery
Lara Favaretto, L. F., 2006. Courtesy the artist and Galleria Franco Noero. Photo: Sebastiano Pellion di Persano

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