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Dopo l’asta si scopre, talvolta, che certi tesori non sono stati inghiottiti da chissà quale collezione privata, che non saranno negati allo sguardo del pubblico per le prossime generazioni. Anzi, proprio l’asta diventa, in questi casi, un’occasione preziosa, un veicolo per riconsegnarli alla pubblica fruizione. È andata così con un lotto eccezionale passato sotto il martello di Sotheby’s lo scorso 2 febbraio, la Hope Cup, quel magnifico vaso in oro, smalto e pietra dura che Alexandra Starp, Sotheby’s Head of Vertu, definiva a exibart come «uno degli oggetti migliori, più rari, più glamour e preziosi mai creati nel diciannovesimo secolo» (ne parlavamo qui). E ora la notizia: è stato il Musée d’Orsay di Parigi, pare, il migliore offerente della vendita, chiusa a quota $ 2,1 milioni. È l’istituzione stessa a dare l’annuncio dell’acquisizione sui suoi canali ufficiali.
«La Hope Cup», svela il museo, «straordinario oggetto d’arte decorativa, è entrata a far parte della collezione d’Orsay!». E poi ne rivela i dettagli, quella stressa storia e quella manifattura che avevano portato gli esperti della casa d’aste a inserire questo lotto nel catalogo di The One, l’asta newyorkese che raccoglie il meglio del meglio dell’ingegno umano.
«Quest’opera di Jean-Valentin Morel, uno dei più talentuosi argentieri del XIX secolo», prosegue l’Orsay nel suo annuncio, «fu commissionata dal ricco Henry Thomas Hope, erede di un’importante famiglia di banchieri londinesi. L’opera illustra la storia di Perseo e Andromeda della mitologia greca classica con una miriade di dettagli intricati. Tra i capolavori dell’Esposizione Universale di Parigi del 1855, non ha eguali nell’arte lapidaria del XIX secolo, un tour de force ispirato ai Gioielli della Corona e ad altre pietre dure montate del XVI e XVII secolo».
Non è una novità la fama d’eccezione della Hope Cup, se ne trova traccia nella sua bibliografia: quando negli anni ’60 il vaso fece parte della prestigiosa Collezione Duveen, una famiglia di mercanti d’arte britannici, fu definito “la meraviglia del secolo”, “senza eguali tra i tesori di Londra”. Esattamente i presupposti per entrare di diritto tra i tesori dell’asta cross-category The One, che la scorsa settimana ha esitato, tra gli altri, le scarpe di Michael Jordan ($ 8 milioni), il primo francobollo della storia (finito invenduto, era stimato $ 1,5-2,5 milioni) e una cassetta duecentesca di Grifo di Tancredi ($ 1,9 milioni). Il meglio del meglio, senza distinzioni – ve ne parlavamo prima dell’asta e nel nostro recap finale.
Per finire, il futuro che attende questo tesoro da oltre $ 2 milioni: «Si tratta di un vero e proprio capolavoro che troverà presto posto nella sezione di arti decorative dell’Orsay, attualmente in fase di ristrutturazione», dice il museo.
E chissà che a breve il lieto fine non arrivi anche per un altro super museo francese, il Louvre, che da mesi sta raccogliendo fondi per acquisire definitivamente le fragole di Jean-Baptiste-Siméon Chardin passate all’asta da Artcurial per € 24,3 milioni e poi reclamate in qualità di tesoro nazionale. Restiamo collegati.
Jean-Valentin Morel est d’origine Piémontaise par son père, Valentin Morel qui est né à Chiomonte (Piemonte) le 5 mars 1761. Valentin Morel était lapidaire, il est venu s’installer à Paris vers 1788, s’y est marié en 1789. Son fils Jean-Valentin Morel est né à Paris le 5 avril 1794. Il avait gardé contact avec ses nombreux cousins (Morel / Maurel) à Chiomonte et avec la famille de sa grand-mère Angélique Thérèse Ronsil.