Nonostante l’ostacolo del coronavirus, Art Paris è riuscita a sopravvivere. Quest’anno, non ci saranno visitatori sotto il tetto cristallino del Grand Palais, ma sarà il mondo digitale ad accogliere il pubblico della fiera parigina.
Come avevamo già raccontato qui, la ventiduesima edizione di Art Paris è stata rimandata direttamente al 2021, ma gli organizzatori si stanno muovendo per mettere in atto misure utili alla fruizione artistica, sul web e non solo.
In risposta alla pandemia, il mercato dell’arte sta reagendo riadattandosi alla situazione attraverso nuove strategie.
Noi di exibart abbiamo voluto conoscere le soluzioni adottate per la fiera di Art Paris e per questo abbiamo intervistato il direttore Guillaume Piens.
La fiera si sposta online, almeno fino all’anno prossimo. Quale tipo di soluzioni e strategie digitali avete pensato di adottare e con quali obiettivi?
«Stiamo per lanciare Art Paris Digital dal 27 al 31 maggio in collaborazione con Artsy. Questo partenariato includerà una piattaforma di video-conferenze live tra galleristi e collezionisti così come delle visite virtuali degli spazi espositivi delle nostre 102 gallerie francesi».
Anche Art Basel ha avviato la sua prima edizione online, ottenendo un esito positivo. Quale esito si immagina per questa edizione alternativa di Art Paris?
«Vogliamo attirare l’attenzione dei numerosi collezionisti nazionali presenti ogni anno ad Art Paris. In modo da sperare di stimolare le vendite dei nostri espositori che sono stati privati della fiera».
Si è parlato del nuovo progetto “Hors Les Murs”, che si diffonderà in tutta Parigi non appena le misure di confinamento finiranno. Possiamo saperne di più?
«Si tratta di creare un percorso che si svilupperà principalmente nel Marais a fine giugno. Il progetto vuole incitare i collezionisti a tornare ad esplorare le gallerie di questo quartiere artistico, rimaste chiuse per tre mesi. In questo contesto, ci occuperemo di organizzare un programma speciale di visite».
Come influirà il coronavirus sul futuro delle fiere? Crede che una volta usciti dalla pandemia, la loro organizzazione subirà una trasformazione?
«Certamente. Siamo chiaramente in un periodo di sovraccarico: troppe fiere, troppe biennali, troppe gallerie e troppi artisti. Stiamo tornando a una fase di sfoltimento che rimette in discussione le questioni essenziali, quelle più sensate. Penso che il numero delle fiere sarà rivalutato, proprio come l’economia. La dimensione locale e regionale acquisirà ancora più importanza: quello che ci circonda, quello che è vicino a noi, a scapito dei viaggi lontani.
Penso che le fiere regionali come Art Paris abbiano un avvenire. Questa si appoggia su un ecosistema denso e ricco che coinvolge a livello nazionale e locale collezionisti, fondazioni, musei e gallerie. Tutte caratteristiche che dimostrano come Parigi oggi sia una delle capitali mondiali dell’arte. Credo anche che sia venuto il tempo di uscire dalle grandi autostrade di un’arte contemporanea internazionale e formattata e di ritrovare di nuovo il sapore del locale.
È questo il concetto di regionalismo cosmopolita che perseguo dal 2012 con Art Paris».
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