La casa d’aste Van Ham riscalda i motori per l’incanto di Fine Arts, in calendario il prossimo 18 novembre a Colonia con capolavori come il Martirio di San Sebastiano di Fernando Yáñez de la Almedina e la Madonna con Bambino di Luigi Gentile. Ma che cosa si nasconde dietro il sipario delle vendite all’asta? Come si arriva alla selezione finale proposta dal catalogo dell’incanto? Ne abbiamo parlato con Davide Dossi, Capo Dipartimento di Arte Antica
Partiamo da una definizione. Come descriverebbe oggi il ruolo di una casa d’aste?
«Una casa d’aste, per definizione, è un’impresa che attraverso transazioni mediante offerte mira alla vendita di un oggetto al migliore offerente. Vendere è sempre stato, nel corso dei secoli, lo scopo primario di una casa d’aste, ma come in ogni settore legato alle vendite, il modo di porsi sul mercato fa la differenza e risponde a esigenze che la società o parte di essa richiede. Diversi aspetti devono infatti venire considerati prima di passare alla definizione delle stime di vendita, legati di volta in volta alla provenienza dell’opera (ergo al proprietario) oppure all’opera stessa. Nel caso degli antichi maestri e dell’arte dell’Ottocento lo studio dell’attribuzione o, per lo meno, dell’ambito di esecuzione dell’oggetto, la ricostruzione della provenienza (con particolare riferimento al Novecento e ai suoi fatti) oltre ad indagini sullo stato di conservazione e, nel caso fosse necessario, interventi di restauro precedono la vera e propria analisi di mercato che darà risultati più soddisfacenti laddove l’aspetto economico venga adeguatamente sostenuto da quello scientifico. Con questi presupposti guido il mio dipartimento, che attraverso chiavi di lettura interdisciplinari, può porsi sul mercato in maniera consapevole e preparata».
Mi racconta nel dettaglio in che modo si innesca questo “macchinario”? Come intraprendete lo studio di un’opera dal momento in cui viene consegnata alla casa d’aste?
«Una volta che un’opera ci viene affidata, sia essa dipinto, scultura o disegno, si comincia col capire l’ambito di appartenenza e chi ne sia l’artefice. A meno che essa non sia pubblicata o firmata (ma è sempre meglio fare un controllo supplementare), si analizza l’originale nel suo linguaggio artistico, molto spesso chiedendo supporto o consulenza a uno o più esperti esterni. L’intuizione e la memoria visiva sono spesso il primo passo per capire in quale direzione muoversi e a chi rivolgersi. Parallelamente l’opera viene studiata dal vivo con dei restauratori, per capirne lo stato di salute, i precedenti interventi conservativi laddove presenti oppure se si tratti di un’imitazione per non dire un falso. La provenienza viene anche vagliata, sia in riferimento alla committenza o ad una o più tappe collezionistiche, sia nell’ambito delle confische o dei furti avvenuti nel secolo scorso ai danni di comunità oppure enti e istituzioni. In questo caso la provenienza di ogni singola opera viene vagliata da un team di ricercatori allo scopo di appurare che su ognuna di esse non penda una lecita pretesa di restituzione».
E quando si scopre che l’opera in questione è tutt’altro che anonima, come invece si pensava? Quali sono a quel punto i passaggi da seguire?
«Quando un’opera nel corso della catalogazione e ricerca ritrova la sua paternità, sia perché una firma è emersa durante indagini conservative sia per lo studio in ambito attributivo, viene consultato il proprietario e si decide assieme il da farsi. Certamente le stime di vendita possono subire un cambiamento, ma anche gli altri fattori – provenienza e stato di conservazione – devono essere sempre presi in considerazione. La trasparenza è il motto che guida il mio operato».
Prendiamo un esempio recente. Com’è andata nel caso del Martirio di San Sebastiano di Fernando Yáñez de la Almedina?
«Il dipinto ci è stato affidato alla fine dell’estate come opera di un seguace di Pietro Perugino. Tale attribuzione, di per sé non errata del tutto, non riusciva tuttavia a convincermi fino in fondo a causa della presenza sullo sfondo di architetture dallo spiccato gusto moresco: si trattava indubbiamente di un’opera non italiana ma che con l’Italia e, in particolare Firenze, aveva a che fare. A questo punto fondamentale è stato lo scambio con diversi esperti con i quali abbiamo potuto alla fine, dopo aver vagliato attentamente le varie ipotesi, giungere all’identificazione dell’artista che ha eseguito la tavola: Fernando Yáñez de la Almedina. Il pittore può essere considerato il più importante artista del Rinascimento in Spagna. Nato intorno al 1475, gli studiosi lo collegano al “Ferrando Spagnolo dipintore” che nel 1505 collaborò con Leonardo da Vinci all’incompiuta Battaglia di Anghiari in Palazzo Vecchio a Firenze. Fu anche influenzato da altri pittori come Raffaello e, appunto, Pietro Perugino. Dopo qualche anno fece ritorno in patria dove fu attivo in vari centri, come la stessa Almedina, Valencia e Barcellona».
Tra i dipinti più interessanti della vendita di novembre c’è anche la Madonna con Bambino di Luigi Gentile. Ci rivela qualche retroscena di questo dipinto – sempre nell’ottica della casa d’asta come luogo di ricerca?
«La storia di questo dipinto ricalca quella di molte altre opere da me studiate in vista della vendita all’incanto e riassume uno dei procedimenti più comuni che il mio dipartimento svolge quasi quotidianamente, descritto anche più sopra. La Madonna con Bambino fa parte di una piccola collezione privata della Germania centrale, messa assieme all’incirca negli anni ’70 del Novecento e ora giunta a disposizione degli eredi che hanno deciso di venderla. Inizialmente il quadro mi è stato presentato via foto come opera anonima e, anche se all’epoca era sporco, la qualità era percepibile. Fortunatamente nella collezione c’erano anche altri pezzi interessanti, per cui ho ritenuto necessaria un’ispezione dal vivo. Dopo aver portato a Colonia la tela e averla fatta pulire da restauratori, il confronto con un importante esperto è stato decisivo per l’individuazione della mano che ha realizzato l’opera. Si tratta di Luigi Gentile, uno dei vari soprannomi coi quali è noto il pittore belga Louis Cousin (Bruxelles 1606 -1667). Il suo corpus, che è andato definendosi negli ultimi anni, si basava su alcune pale d’altare mentre la sua produzione di opere da cavalletto e devozionali era poco conosciuta. La Madonna con Bambino può quindi considerarsi una nuova felice aggiunta all’opera di questo artista».
Per concludere. Ritiene che nell’arte antica, oggi, i numeri del mercato siano allineati con il valore delle opere?
«Nell’ambito degli antichi maestri il concetto di valore intrinseco è qualcosa di inafferrabile, poiché diversi fattori, anche emozionali e pertanto non misurabili, entrano in gioco e concorrono alla sua definizione. Il valore intrinseco viene poi relativizzato anche dal gusto di un’epoca, che ormai visti i tempi rapidi a cui siamo abituati, si riduce a un decennio, se non addirittura un lustro. È un discorso di per sé molto complesso, ma possiamo dire che se un’opera è di alta qualità ed è latrice di una storia da raccontare o valori condivisibili raramente resta invenduta e raggiunge normalmente quotazioni soddisfacenti. Ci sono poi opere che allora come oggi sono state realizzate a scopo più o meno decorativo, per abbellire la casa di un barbiere o un avvocato, verso le quali le aspettative sono più moderate, così pure i risultati di vendita».
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