Categorie: Mercato

L’arte che finanzia la jihad

di - 20 Aprile 2015
Da mesi il mondo è sotto shock a causa delle immagini che giungono da Siria e Iraq delle stragi commesse da gruppi armati appartenenti all’ISIS. Altra preoccupazione che invece riguarda più da vicino i mercanti e le case d’asta è un timore che serpeggia tra gli art lovers e che risponde alla domanda: che fine fanno le opere d’arte rubate nei musei mediorientali?
I più piccoli manufatti scheggiati e rovinati potrebbero essere inseriti nel mercato delle antichità per finanziare la guerra dei  jihadisti. E non solo, perché dopo aver scoperto che tutte le opere distrutte nei video erano dei falsi ci si inizia a chiedere che fine faranno anche gli originali di quelle opere.
Chris Marinello, direttore di  Art Recovery International, ha dichiarato di aver visto delle foto di oggetti provenienti dalla Siria che dovevano essere messi in commercio, e che erano ancora chiaramente sporchi di povere, tra questi sigilli cilindrici, bottiglie e vasi romani che erano in transito o erano arrivati nei mercati chiave di Europa e Stati Uniti.
Proprio l’Italia ha proposto di creare una task force militare per proteggere i siti culturali in zone di guerra,in zone patrimonio mondiale dell’UNESCO, ma sono in molti a credere che poco si può fare per fermare la distruzione corrente.
Il Times di Londra invece riporta che l’ISIS ha contrabbandato quasi 100 reperti saccheggiati dalla guerra siriana in Gran Bretagna lo scorso anno, ma mettere sul mercato reperti saccheggiati da alcuni dei musei più amati del mondo non è certo impresa semplice.
Per essere venduto un articolo deve essere esportato da territori ISIS in nazioni come il Libano o la Turchia, che hanno accesso ai primi mercati di antichità del mondo e dell’arte. Questi oggetti sono poi contrabbandati nelle nazioni in cui il mercato è più attivo, e legittimati attraverso le gallerie d’arte e commercianti operanti nel settore dell’arte. Una nuova legislazione per prevenire il traffico illegale di antiquariato è stata diffusa dagli Stati Uniti, nata con la volontà di rendere il processo di importazione più difficile e di diminuire una grande fonte di finanziamento che l’ISIS riceve dalle antichità internazionali e dal commercio d’arte.
Nonostante tutti gli sforzi diplomatici e la legislazione, una delle responsabilità più grandi ricade sui collezionisti che innescano la domanda e sulle gallerie, sui commercianti e sugli agenti di vendita che rispondono a questa domanda. (Roberta Pucci)

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