A Messeplatz, quest’anno, è arrivato il prato di Agnes Denes. Una passeggiata nel verde, quasi un rito, a tratti una preghiera, prima del turbine frenetico della regina delle fiere. Art Basel, edizione 2024, 287 stand da 40 Paesi. Leitmotiv: impossibile – impossibile – incrociare lo sguardo di ogni cosa. Prassi inevitabile: partire dai giganti. Quelli dei grandi numeri, dei grandi artisti, delle opere museali, i colossi blue-chip. Vedi alla voce David Zwirner, che vince facile con i Sunflowers (1990-1991) di Joan Mitchell, sorvegliati dai quadrati concentrici di Josef Albers, proprio ai lati, faccia a faccia come vecchie sentinelle impettite. Asking price $ 20 milioni, venduto subito – mentre i due Study for Homage to the Square lasciano il campo rispettivamente per $ 1,6 milioni e $ 600.000. E vengono prontamente sostituiti da nuovi Mitchell, nuovi Albers, cambiano veloci gli affari nei booth. Vedi a ruota Hauser & Wirth, con un Philip Guston del 1978, Orders, monumentale (venduto per $ 10 milioni), e poi un dipinto rarissimo di Georgia O’Keeffe, non uno dei soliti superzoom di fiori erotici, ma un paesaggio dall’alto, di quelli che vedeva dal finestrino dell’aereo, nei suoi viaggi, una luna piena di latte che sfiora un lembo di rosa, senza mai immergersi, il titolo è Sky with moon (1966). «Amava viaggiare», spiegano dalla galleria. «Esistono solo una decina di opere dedicate a questo soggetto in circolazione. E quasi tutte sono esposte a Santa Fe, al Georgia O’Keeffe Museum, è davvero difficile trovarle sul mercato». Nel 2018 passava all’asta da Christie’s per $ 3,5 milioni, oggi Hauser & Wirth l’ha venduta a una «major private collection» per ben $ 13,5 milioni.
A proposito di colossi. C’è White Cube tra i sempreverdi blasonati dell’arte contemporanea, è Julie Mehretu a registrare la vendita più alta nello stand, nella prima giornata di preview. Forse complice la maxi mostra a Palazzo Grassi, la reggia veneziana di Pinault, senz’altro il momento di vendere è quello giusto, dopo il record da $ 9,3 milioni siglato a novembre dalla majors Sotheby’s, che ne ha fatto tra l’altro l’artista afrodiscendente più costosa, sorpassando (di gran lunga) il primato di Marlene Dumas. Il risultato, tra i più altisonanti della preview: $ 6,75 milioni per Untitled 2 del 1999. Mentre Clowns travel through wires di Mark Bradford (2013) passa di mano per $ 4,5 milioni, The Storyteller di Jeff Wall (1986) trova casa per $ 2,85 milioni. E sono in ottima compagnia. Allo stand E10, Lévy Gorvy Dayan mette in piedi un allestimento che punta alto già dal corridoio, le labbra erotiche le mani smaltate la sigaretta il fumo di Tom Wesselmann, asking price oltre i $ 6 milioni; in pendant (inaspettato) con un vaso di Lucio Fontana di grandi dimensioni, la richiesta qui è di $ 5,8 milioni. Entrambi resistono al primo giorno di preview. Plauso di merito per il booth di Pace Gallery, un Dubuffet in versione divano, in poliuretano, s’intitola Banc-Salon: «Non è in effetti propriamente una scultura dipinta», diceva l’artista, «è più un dipinto monumentalmente eretto». I collezionisti e gli addetti ai lavori seduti tra le anse in bianco e nero dell’Art Brut, le teste e i cappelli a falda larga sorvolati da due grandi cerf-volantes.
Frenesia da fiera a zig zag. Ancora i big della main section. Landau ci riprova con il Wassily Kandinsky da record, Murnau mit Kirche II (1910), quello passato da Sotheby’s nel 2023 per $ 45 milioni – lo abbiamo già visto da Tefaf, a marzo, l’asking price allora si aggirava intorno ai $ 60 milioni. Xavier Hufkens vende subito una scultura di Bourgeois da $ 1,2 milioni – un’altra superstar del mercato degli ultimi anni, un’altra grande presenza tra i booth. Da Acquavella sono tutti pezzi da museo, uno in particolare da segnalare: un Georges Braque del 1941, il titolo è Mandoline à la partition (Le Banjo). L’asking price, ambizioso, è di $ 18 milioni. Ma per $ 1,5 milioni si possono portare a casa le piccole Candy Apples di Wayne Thiebaud. «Se chiedi meno di $ 100.000, qui si stupiscono», il commento estemporaneo di un gallerista a metà preview.
Martedì, ore 16, ancora nessun assalto famelico tra i booth. Bene per le visite, forse meno bene per i galleristi, ancora quattro ore per chiudere le grandi faccende della preview. Prosegue il giro della fiera, e insieme il tentativo di fare ordine, di segmentarla in sezioni mentali. In fili rossi e temi. Ed eccoli.
Rende omaggio a Frank Stella l’edizione 2024 di Art Basel nell’anno della sua scomparsa, quasi una retrospettiva scomposta, ce n’è uno gigante del 1977 esposto da Di Donna, poi uno da Gray, Diavolozoppo del 1984, una versione più affordable da Templon, una scultura del 2001 stimata $ 200.000-300.000. Proprio l’anno scorso, nella tappa glamour di Art Basel Miami, il primo Black Painting di Stella veniva esposto per $ 45 milioni da Yares Art. E finiva invenduto, allora, perlomeno nei giorni di fiera. Tutt’altro genere, tutt’altro omaggio: i dipinti onirici disseminati per i booth, a cento anni esatti dal Manifesto del Surrealismo di André Breton. Come il Francis Picabia La femme et les bras del 1932 da Luxembourg+Co, o la selezione di Paris 1900-2000, dove abbondano Hans Bellmer, Man Ray, poi una serie di chicche su un’unica parete, da Picabia a Carrington a Paalen. A proposito di chicche: da Pace Gallery, non passa inosservato il – seppure minuscolo – Max Ernst, Alice in 1939, $ 4 milioni richiesti per portarselo a casa. Da Alison Jacques, booth C3, settore Feature, Dorothea Tunning è in vendita per $ 550.000. Chiude in bellezza Wendy Norris, ultra specializzata in opere surrealiste, lo stand interamente dedicato a Leonora Carrington – freschissima di record, $ 28,5 milioni da Sotheby’s a maggio – è un raffinato coup de theatre.
Gli italiani? Presenti, presenti. In tutte le sezioni, compresa la fuori-misura Unlimited, vedi quel Salvo gigante di Mazzoleni, Il trionfo di San Giorgio (1974) si chiama, 270×760 cm di pastello su carta, rende omaggio a Carpaccio a tinte tenui. Mazzoleni che già il primo giorno di fiera rivelava a exibart «un notevole interesse nei confronti del nostro progetto curatoriale Magnificent Symposium. Una menzione va fatta all’opera Il Pittore Paesista di Giorgio de Chirico, che ha catturato l’attenzione di collezionisti provenienti da diverse parti del mondo. La prima giornata ha visto la vendita di due opere (€ 150.000 e € 450.000) di Salvo». E non è la sola. Sempre impeccabile la selezione della veronese Galleria dello Scudo, che gioca i suoi cavalli di battaglia, Accardi, Vedova e Leoncillo in prima linea. Nessun Fontana kilometrico quest’anno da Tornabuoni, che dedica invece un’intera parete a Giorgio De Chirico (uno è stato venduto oggi per $ 1,2-1.6 milioni) ed espone tra gli altri un Parmiggiani reduce dalla mostra On Fire alla Fondazione Giorgio Cini (venduto nel range di € 100.000-150.000). Ancora Franco Noero, Cardi, Massimo Minini, Zero, Invernizzi, Tucci Russo, Alfonso Artiaco, Raffaella Cortese. Ovviamente i colossi MASSIMODECARLO e Galleria Continua.
Inevitabile parentesi Biennale – ovvero cogliere i riverberi della Laguna da una parte all’altra del globo a due mesi dall’inizio della kermesse. È il caso di Sandra Poulson, classe 1995, nello stand di Jahmek Contemporary (contestualizzazione, sempre necessaria nel marasma di nomi: era tra i protagonisti della Biennale College Art). «Sulla scia della presentazione di Sandra alla Biennale di quest’anno», rivela a exibart la direttrice e fondatrice della galleria, Mahek Vieira, «i visitatori hanno risposto in modo molto positivo all’idea di vedere Sandra qui. È stato bello riprendere da dove avevamo lasciato la nostra prima mostra a Basilea nel 2022 e costruire nuovi rapporti con istituzioni e curatori, oltre che con nuovi collezionisti». Discorso analogo per il brasiliano Amadeo Luciano Lorenzato, tra gli outsiders della Biennale di Pedrosa, c’è una bella serie di piccoli Untitled sulle pareti di Mendes Wood DM. Qualche Louis Fratino qua e là, come gli Early spring flowers del 2024 in bella mostra da Sikkema Jenkins – sono otto le tele di grandi dimensioni attualmente esposte in Laguna, tra fiori, pesche e incastri sensuali. Magazzino espone tra gli altri Massimo Bartolini, protagonista del Padiglione Italia con la sua scultura musicale.
Ultima serie di must-see, in una fiera che è bella, è a mani basse la regina dell’arte contemporanea, ma non basta mai il tempo per poterla abbracciare, riverire. Imprendibile. A raffica: il booth di Susan Sheehan, con i disegni di Louise Bourgeois e di Richard Diebenkorn (un altro nome fresco di record sul mercato secondario) che sovrastano le peonie; la ricca selezione di Chamberlain da Karsten Greve, ruba la scena il gigante Ramfeezled Shiggers del 1991, asking price $ 2,6 milioni; i magnifici disegni di Schiele da Richard Nagy, tra i più cari c’è il ritratto della sorella dell’artista del 1910, costa $ 1,1 milioni, a metà giornata risultava invenduto; Parker Gallery, sezione Feature, con i lavori di Gladys Nilsson, tra Espressionismo astratto, surrealismo, fantasy e cartoon; ancora Adrian Ghenie da Plan B, Museum Scene del 2024, appena andato per $ 900.000; quello spettacolo eccentrico su tre piani – tre piani – messo in piedi da Jeffrey Deitch, tutto, senza distinzione, da Urs Fischer a Keith Haring a Sascha Brauning. E sì, per far fronte alla inevitabile monotonia, a vincere, o perlomeno a catturare l’attenzione, sono gli stand che hanno puntato sulla creatività, su set up fuori dal comune. Convincono: Petzel con il “teatrino” di Derek Fordjour, Red Queen’s Race (2023); Standard, al booth L8, che resta ingabbiato da una struttura in legno, quasi a rispecchiare la sua anima norvegese; l’accoglienza delle a colori di Crèvecœur, spazio R26; l’eleganza della londinese Offer Waterman, con una selezione di opere – da Howard Hodgkin a David Hockney a Frank Auerbach – che gioca tutta sui toni del blu.
È tutto – non sarà mai tutto – dalla preview di Art Basel.
Buona fiera.
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