Carne nuda, colante, occhi di brace. Occhi come fessure, anche, e poi labbra purpuree, amore e morte, una specie di tenerezza. Palazzo Grassi presenta open-end, la mostra personale di Marlene Dumas (1953, Cape Town) a cura di Caroline Bourgeois che ripercorre, attraverso trentatré sale, quasi quarant’anni dell’indagine dell’artista. I soggetti: oltre 100 opere provenienti dalla Pinault Collection, da musei internazionali e collezioni private, in un turbinio senza fine di estasi, paura, violenza, ansia, disperazione. Una pittura come «traccia del tocco umano», come «pelle di una superficie» – lo scriveva l’artista in Sweet Nothings – «un dipinto» che, ribadisce, «non è una cartolina». Nessuna bella storia da ammirare, sulle sue tele minuscole o di monumentali; solo corpi effimeri, trasognati, a tratti sfigurati, che portano in scena, diretti, le vicissitudini di vite intere. Ma qual è, sul mercato, il valore della sua potenza espressiva? «100 USD investiti nel 2001 per un’opera di Marlene Dumas valgono in media 521 USD (+ 421%) nel dicembre 2021», rivelano i dati di Artprice. Nessun timore, intanto, per il suo record d’asta, indisturbato dai tempi di quel The visitor (1995) che, nel 2008, polverizzava a suon di bid le stime iniziali. Marlene Dumas chiude il 2021 con un turnover da $ 3,4 milioni, 46 lotti venduti all’incanto, la 431esima posizione nella classifica annuale. Un finale lontano dai $ 13,3 milioni del suo annus mirabilis, il 2017, che la vedeva trionfare al 29° posto davanti al collega Anish Kapoor. I suoi traguardi all’incanto? Di seguito il podio delle aggiudicazioni.
Sei giovani figure in piedi, in una posa che ricorda, ostentata, la Petite danseuse de quatorze ans di Dégas – ma anche i colori di Matisse, di Munch, c’è qualcosa di Van Gogh. Non le scopriamo in scena sul palco, nella sala prove, nel pieno di un’esibizione, come le ballerine fin de siècle. Le scrutiamo di spalle in uno spazio claustrofobico, losco, quasi per caso, mentre attendono l’arrivo di un cliente dalla porta brillante, sullo sfondo. Il protagonista della tela? É lui, the visitor, il rumoroso assente. «Lo spettatore viene inserito in una tana oscura e licenziosa», si legge sul catalogo, «dietro una scena che è intrisa di implicazioni, di tabù, di ambiguità stratificate e di una narrativa poco chiara». I temi cari a Marlene Dumas, da Sotheby’s Londra, nel luglio 2008, hanno fruttato un’aggiudicazione record da $ 6,3 milioni.
Medaglia d’argento per le cinque donne di Colorfields, che sembrano chiarire, a tinte accese, la definizione dell’artista come “espressionista intellettuale”. Dumas parte da una fotografia di Vogue – è immenso l’archivio di immagini a cui attinge, nel suo lavoro – con quattro modelli (Carla Bruni, Nadja Auermann, Shalom Harlow e Karen Mulder), aggiunge una quinta, misteriosa figura e poi staglia il gruppo eccentrico su uno sfondo rosso fuoco, senza alcuna contestualizzazione. Seduzione e repulsione, brusche astrazioni, volti appena accennati, frammenti di sguardi, tutto insieme. La dimensione, qui, è di quelle monumentali: 200 x 150 cm. Il prezzo finale, di riflesso: $ 4,2 milioni raggiunti nel 2017, alla 20th Century & Contemporary Evening Sale di Phillips New York.
3. Cathedral (2001). $ 4 milioni
Un po’ cariatide greca, un po’ finestra dei bordelli a luci rosse di Amsterdam. Il terzo e ultimo posto del nostro podio va a Cathedral del 2001, passato sotto il martello di Sotheby’s nel febbraio 2020. «Erede della serie d’artista delle Maddalena creata nel 1995 per la Biennale di Venezia», riporta il catalogo della vendita, «Cathedral continua l’importante indagine di Dumas sul topos della donna ‘caduta’». Ancora: «Incrollabile e senza vergogna, Cathedral incarna una modalità di femminilità che non si identifica con l’etichetta di madre, figlia o ingenua civettuola». E conclude: «Intitolando quest’opera Cattedrale, Dumas investe la sua pittura di religiosità – una qualità sacra che si contrappone al suo soggetto profano». Il prezzo finale per questo straniamento sofisticato: $ 4 milioni.
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