Possedere una collezione d’arte più o meno eclettica, più o meno sconfinata, il primo passo, tutt’altro che banale. Lo step successivo: ritenersi «custodi temporanei» di quei tesori – per usare le parole del defunto Paul Allen che, si sa, di collezioni se ne intendeva eccome. Pensare allora di darli in prestito a mostre e istituzioni, per condividere la fortuna, la gioia, la bellezza – un po’ tutto insieme. O addirittura aprire il proprio museo, ecco, quello è il più nobile dei punti di arrivo. Lo conferma a gran voce il nuovo Private Art Museum Report pubblicato da Larry’s List: sono 446 oggi i musei d’arte contemporanea privati nel mondo, Germania al primo posto (60), medaglia d’argento per gli Stati Uniti (59), segue la Corea del Sud (50). Con una sfilza di nuove realtà spuntate come funghi nonostante la pandemia, dalla Longlati Foudation aperta a Shanghai nel 2021 alla Heidi Horten Collection inaugurata a Vienna nel 2022. Qualcosa è cambiato rispetto al primo report datato 2016, lo rivela a exibart Christoph Noe, direttore e co-fondatore di Larry’s List: «Un dato che continua a colpirmi è che tra i 446 musei, circa un terzo – per la precisione 152 – sono stati fondati a livello globale nell’ultimo decennio», spiega. «Negli ultimi anni questa tendenza non si è arrestata: i collezionisti sono interessati ad aprire uno spazio fisico, indipendentemente dalla VR, dal metaverso, ecc». Con un risvolto interessante: «C’è una nuova generazione di collezionisti che inaugura musei in età molto giovane». Sono i Millennials, pare, ad animare la corsa alle nuove aperture.
Ed eccoli, uno dopo l’altro, i musei privati da una parte all’altra del globo. Ovviamente aperti, apprezzatamente accessibili, finalmente patrimonio comune, parti integranti di quel progetto di promozione dell’arte senza limiti di fruizione. Anche l’Italia fa la sua bella figura con un ottimo quarto posto, a parimerito con la Cina. Una questione di assetto legale, di benefit particolarmente vantaggiosi? – chiediamo ancora a Christoph Noe, nel corso del nostro scambio. «Naturalmente, il setup giuridico gioca un ruolo importante, insieme ai parametri fiscali e finanziari», risponde. «Tuttavia, confrontandoci e facendo ricerche su decine, se non centinaia, di collezionisti, non siamo convinti che questa sia la motivazione chiave e trainante per l’apertura di un museo. I collezionisti possono vendere parti della loro collezione e magari beneficiare dell’aumento di valore delle opere d’arte, ma non abbiamo identificato un solo museo che sia in grado di generare denaro dalla propria gestione. Occorrono tempo, risorse, dedizione e passione». E così ci racconta delle sue frequenti incursioni negli spazi della Fondazione Prada a Milano (a proposito di “good practice”), con ben due sedi a portata di mano, tra l’ex-distilleria in Largo Isarco e l’Osservatorio in Duomo. «Siamo continuamente colpiti dalla sua programmazione di alto livello». Sempre in Italia «uno spazio non completamente nuovo, ma che ha solo 5 anni, è la Collezione Roberto Casamonti a Firenze. È sicuramente in cima alla mia lista di musei da visitare».
Non si limita a un elenco di siti il nuovo report, tutto basato sull’ampio database di Larry’s List – oltre che su una ricerca in corso da parte del Prof. Olav Velthuis e del suo team, del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Amsterdam. C’è un’analisi dell’assetto giuridico e del funzionamento di questi musei illuminati, con tanto di numero di dipendenti, affluenza del pubblico e orari di apertura. Come l’inglese Saatchi Gallery o il Museum Voorlinden in Olanda, che ricevono oltre 100.000 visitatori all’anno. Le tariffe d’ingresso? I due estremi: il 35% dei musei privati non richiede una entrance fee, solo per il 2% si segnalano più di 20 euro a persona. Non solo. Riflettori accesi, nel terzo capitolo, sui social media dei musei d’arte privati, tra innovative strategie di marketing, storytelling sempre attuale delle collezioni, interazione senza confini con gli utenti. Ancora un plauso, qui, per il Bel Paese, troviamo la Fondazione Prada di Milano e Venezia tra i musei più seguiti su Instagram (493k followers), in buona compagnia con la Pinault Collection di Venezia (117k followers) e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino (54.9k followers).
Ottima, si diceva, la rappresentanza italiana in generale, con 30 strutture sparse per la penisola – lo stesso numero registrato in Cina. Eppure, le differenze sono sostanziali. «In Italia», racconta Noe a exibart, «il sostegno dello Stato alle arti si concentra in gran parte sul patrimonio artistico antico e meno sulle manifestazioni contemporanee – dunque i collezionisti privati vedono la necessità e la possibilità di colmare questa lacuna. A quel punto, sono solitamente all’apice della carriera collezionistica, spesso collezionano da decenni. A nostro avviso, i musei più importanti e di spicco in Italia sono proprio quelli privati». Discorso diverso per la Cina, dove «l’idea di aprire un museo privato spesso avviene più parallelamente all’avvio di una collezione, tant’è che molti collezionisti inaugurano spazi in giovane età». E aggiunge: «Negli ultimi 4-5 anni non abbiamo assistito all’apertura di nuovi musei privati in Italia, mentre nello stesso periodo ne sono stati aperti diversi in Cina. Non vediamo l’ora di rivedere la classifica tra 5 anni». E così anche noi, a partire dalle – auspicate – novità nostrane.
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