Correva l’anno 1924 quando il Cav. Luigi Pandolfini fondava a Firenze la propria attività. Vendeva mobili, arredi e oggetti d’arte, allora, e nel giro di poco tempo si ritrovava a gestire gli incanti affidati dai grandi alberghi, dalle dimore della nobiltà fiorentina, fino a intere collezioni private, sempre più preziose e internazionali. Cento anni più tardi, Pandolfini è la casa d’aste più antica d’Italia. Nella seconda metà del Novecento ha stabilito la sua sede nei saloni di Palazzo Ramirez Montalvo, in Borgo degli Albizi 26 – ovviamente a Firenze, la città che ne ha visto gli albori; poi l’espansione: nel 2011 è nato l’avamposto di Milano, in via Manzoni 45, nel 2016 quello romano, in via Margutta 54. Ne sono cambiate di cose, dal giorno zero, tra lotti eccezionali, nuovi format, collezionisti ben oltre i confini. Ne abbiamo parlato con Pietro De Bernardi, amministratore delegato della maison.
Cento anni, la prima domanda è d’obbligo: come è cambiato il sistema dell’arte dal 1924 ad oggi?
«I grandi cambiamenti del mercato dell’arte sono stati generati nel corso del secolo scorso dalle modifiche del gusto e dalle diverse tendenze socio-economiche che si sono succedute, e sono certamente dovuti in maniera sostanziale al massiccio utilizzo delle nuove tecnologie. L’utilizzo su larga scala della rete internet ha sconvolto il nostro settore, ha reso possibile una maggiore trasparenza del mercato, ha fatto avvicinare una nuova schiera di potenziali compratori e soprattutto ha permesso alle case d’asta che si sono fatte trovare pronte di fare un grande passo in avanti rispetto alle tradizionali gallerie d’arte».
Avete attraversato una guerra, la crisi finanziaria del 2008, di recente anche una pandemia. Le chiedo: che cosa non è cambiato dal giorno zero?
«Credo l’entusiasmo con il quale le tre generazioni che si sono succedute alla guida della nostra azienda hanno portato avanti e fatto crescere questa realtà che, da prevalentemente fiorentina, è oggi un’azienda di dimensioni nazionali che si confronta con tutti i competitor europei. Questa passione ha permesso al mio bisnonno e a mio nonno di superare in modo brillante i problemi e le enormi difficoltà causate dalla Seconda Guerra Mondiale, e a me di resistere alla crisi del 2001, le torri gemelle, a quella del 2008 e infine al Covid, dimostrando concretamente una grande solidità del nostro business e della nostra organizzazione».
Parliamo dei collezionisti, nel 2023 avete organizzato 33 aste live e 31 online, vi siete interfacciati davvero con ogni tipologia di acquirente. Che cosa chiedono, oggi? Come sono cambiati nel tempo?
«Non si è registrato nel tempo, e credo non si modificherà nel breve periodo, un radicale cambiamento di gusto o di propensione all’acquisto di determinati settori piuttosto che di altri. Ciò che è cambiato è il modo di acquistare, prima di tutto attraverso il web, destinato nel breve a diventare il primo canale di vendita. Questo perché le piattaforme, come Pandolfini Live, consentono di vedere l’asta in diretta, grazie a una regia dedicata, e di partecipare in tempo reale premendo un pulsante per fare l’offerta. I risultati che registriamo oggi, grazie a questo canale, sono eccellenti, grazie a uno staff che in questo momento è probabilmente il migliore in Italia e grazie a dotazioni tecnologiche all’avanguardia, che nel nostro Paese non sono comuni. Questo consente di avvicinare un pubblico internazionale abituato al digitale e all’utilizzo di software di ultimissima generazione con funzioni di realtà aumentata e possibilità di ambientazione delle opere».
I report più recenti sul mercato dell’arte internazionale rivelano sempre più Millennials e Gen Z tra le fila dei collezionisti internazionali. Riscontrate lo stesso trend, da Pandolfini?
«Nel 2020 il Covid ha spinto ad affacciarsi al nostro mondo molte persone che erano più legate al giro delle gallerie e delle fiere. Ha avvicinato in effetti anche persone più giovani. Nelle aste online proponiamo oggetti più affini ai nuovi collezionisti, gioielli, orologi, arte contemporanea, sui quali stiamo spingendo di più proprio per avvicinare quelli che in futuro saranno i nostri nuovi clienti».
A proposito di nuovi collezionisti. Spopolano sempre più le aste ibride, cross category, quelle in cui trovare tesori di ogni epoca e di ogni luogo per abbracciare un bacino sempre più ampio di acquirenti. È una strategia che avete sperimentato?
«In effetti abbiamo sperimentato questo tipo di aste, ma sempre in relazione a proprietà uniche nelle quali il collezionista, nel suo percorso, aveva attraversato epoche diverse. A Milano, lo scorso novembre, abbiamo battuto un’asta dedicata a una storica collezione milanese che aveva questa caratteristica e che era appunto titolata Dall’Antico al Moderno. Questo avvenimento ha totalizzato risultati entusiasmanti: il 90% dei lotti aggiudicati, per un totale di € 3,2 milioni che hanno rappresentato il 210% delle stime pre-asta. Un evento che ha visto brillare opere provenienti da diverse epoche e discipline artistiche e che conferma un forte interesse per questo tipo di cataloghi».
Entriamo nel cuore delle aste, allora. Nel 2014, in occasione dei novant’anni di attività, avete fondato il format Capolavori da collezioni italiane – oggi è uno dei vostri marchi di fabbrica. Mi racconta come è nata l’idea?
«Volevo creare qualcosa di innovativo per il mercato dell’arte italiano. Ho sempre pensato che la qualità fosse la linea guida per la crescita e per una migliore redditività. Da questa idea ho stimolato tutti i dipartimenti a selezionare le migliori opere affidate durante l’anno, per costruire un catalogo dedicato solo all’eccellenza. Abbiamo richiesto preventivamente il certificato di libera circolazione per le opere di maggiore interesse per avere di fronte davvero un mercato internazionale. Il risultato è andato molto oltre le mie previsioni, merito sì della vendita record del vaso Qing, che ancora oggi è l’oggetto più caro mai venduto in asta in Italia, ma anche degli altri esemplari in catalogo che hanno permesso a Pandolfini di totalizzare oltre € 14 milioni di vendite con meno di 50 lotti».
Un altro format che vi contraddistingue, Tesori ritrovati. Il primo lotto che le viene in mente per questa categoria, la sua storia e il suo esito finale.
«Ricordo sempre con piacere il grande quadro di Monet che, vincolato dalla Soprintendenza, era conservato presso il museo della Pilotta a Parma nei magazzini dedicati alle opere del Polo Museale. Sorvolando sulle difficoltà che ho avuto per farmelo consegnare, quest’opera ha registrato un risultato davvero eclatante: si trattava di una delle “scogliere” di Monet, soggetto che l’artista, in vita, confidò di non amare così tanto. Non, quindi, un soggetto particolarmente commerciale. Ne era passata una versione in un’asta a NYC l’anno precedente che era stata invenduta contro una stima di $ 1,3 milioni. Il nostro quadro invece dopo una lunga gara, sebbene vincolato, è stato venduto per oltre € 1,5 milioni a testimonianza che i collezionisti italiani sono molto motivati e che, spesso, un evento particolare può condizionare positivamente i risultati dei singoli lotti. Si è di certo trattato di un’asta che ha segnato il mercato italiano e che è rimasta ben scolpita nella mente di tutti i grandi collezionisti che vi hanno partecipato. La sala di Milano era stracolma, con più di 300 partecipanti in presenza e collegamenti telefonici e LIVE da tutto il mondo. Anche qui, risultati eccezionali: 52 opere oltre € 12 milioni di incasso».
E poi c’è Opere d’eccezionale interesse storico-artistico, che trasforma la (tanto temuta) notifica in un’occasione per l’acquirente…
«Abbiamo cercato di vedere la questione da un punto di vista diverso. Abbiamo creato cataloghi dedicati solo alle opere “vincolate” con il preciso intento di superare il problema commerciale della “notifica”, sostenendo la possibilità di acquistare un capolavoro ad un prezzo corretto per il mercato domestico. Devo dire che i risultati sono stati sorprendenti e hanno confermato quello che ho sempre sostenuto: a livello internazionale per molte opere “italiane” i migliori clienti sono proprio i collezionisti italiani. E ciò si è confermato nelle nostre aste dedicate alle opere vincolate, nelle quali i lotti di grande qualità, seppur inesportabili e quindi dedicati ad un pubblico domestico, hanno realizzato aggiudicazioni molto vicine a quelle del mercato internazionale».
Cento anni di scoperte, riscoperte, record, dipartimenti vecchi e nuovi. Guardando indietro, qual è stato il traguardo più grande della casa d’aste?
«Certamente i risultati legati ai volumi di vendita e alla media lotto, che sono gli indicatori della forza commerciale della casa d’aste e della qualità della proposta. Negli ultimi cinque anni siamo di gran lunga la casa d’aste che in Italia ha avuto il maggior volume di vendite e siamo la casa d’aste con la miglior media lotto, cioè la casa d’aste che raggiunge il suo totale venduto con il minor numero di lotti».
Per concludere: come festeggerete, da Pandolfini, il fatidico centenario?
«Siamo ancora in fase progettuale, non posso dire ancora niente ma certamente sarà qualcosa di innovativo sulla scia di quello che abbiamo fatto negli ultimi venti anni».
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