David Zwirner ipotizza un calo delle vendite del 30% entro il prossimo dicembre e annuncia una serie di licenziamenti che toccheranno a quasi quaranta dipendenti (pari al 20% del totale) tra le sue sedi, nonostante i super prestiti di cui ha beneficiato grazie al PPP – Paycheck Protection Program (ne scrivevamo qui). Il presagio di Jerry Saltz si è avverato: l’effetto domino della crisi ha bussato ben presto alle porte delle gallerie, limitandone al massimo l’autonomia e costringendo i titolari a tagli senza precedenti.
«Perfino un amante dell’arte come me», dichiarava il noto critico lo scorso aprile, «deve ammettere che gran parte delle infrastrutture è già in bilico. Nel mondo dell’arte, la situazione era già spinosa per chi non era in cima alla catena alimentare: numerose gallerie riferivano di essere finanziariamente frenate da costi alle stelle e di quelli da pagare per partecipare a fiere d’arte senza fine, in un vortice di biennali e mostre in giro per il mondo. Il COVID-19 ha moltiplicato tutto questo per cento volte. Il Wall Street Journal riporta che molte organizzazioni performative non abbiano le riserve per andare avanti per un mese: la maggior parte delle gallerie non è molto più preparata di così. E queste gallerie chiuderanno».
Un divario sempre più netto, insomma, con i grandi che continuano a crescere e i piccoli che arrancano a passi sempre più sofferti, fino a doversi fermare. Nel 2020, in piena crisi economica, quello stesso settore che nel 2008 aveva remato controcorrente fatica stavolta a risollevare un mercato da 67 miliardi di dollari, che nell’ultimo anno ha registrato record straordinari e si ritrova adesso a combattere un nemico invisibile (ma dagli effetti, ahimè, tangibili).
Tutto prevedibilissimo, purtroppo, il cambiamento era nell’aria da mesi. Ma non può non stupire che anche le colonne portanti della filiera dell’arte siano costrette a ridimensionare i propri numeri, a piegarsi a una crisi che miete le sue vittime perfino tra i grandi brand dell’arte. E così, dopo mesi di analisi e temporeggiamenti, David Zwirner segue le orme di Gagosian e Pace Gallery, ma anche del MoMA e della casa d’aste Sotheby’s, che secondo il Wall Street Journal congederà circa 200 collaboratori).
«Abbiamo evitato i licenziamenti fino al 1° luglio perché volevamo capire come gli affari sarebbero cambiati nei primi due trimestri del 2020», riferisce David Zwirner, «ma, adesso, un’attenta analisi ha portato alla luce profondi cambiamenti. Credo non torneremo alla normalità finché non ci saranno un vaccino o una cura». E ancora: «Le riduzioni del personale dipendono dalla mutata natura della nostra attività e dalla quasi totale scomparsa dei carichi di lavoro tradizionali in alcuni settori. È un momento senza precedenti per la galleria. Aiuterò i nostri ex colleghi il più possibile in questo periodo, includendo un’assicurazione sanitaria per i prossimi sei mesi, fino alla fine dell’anno, dato che la pandemia non è assolutamente sotto controllo».
Tra i dipartimenti più colpiti dai tagli, quello degli eventi (solo ventitré nel 2020, a dispetto degli ottantanove dell’anno passato), in forte contrasto con le attività online, che hanno visto un forte incremento nella fase del lockdown. Nonostante la realtà digitale della galleria fosse ben avviata già prima della crisi – sotto la guida di Elena Soboleva, direttore delle vendite online – gli ultimi mesi hanno contribuito a rafforzare la sua immagine virtuale, grazie anche a un massiccio impiego di dipendenti interamente dedicati alle attività sulle diverse piattaforme.
Insomma, grandi cambiamenti in casa Zwirner. Le sue gallerie di New York, Parigi, Londra e Hong Kong tornano accessibili al pubblico a partire dal 6 luglio, con un calendario ricco di appuntamenti in tutte le sedi e tanta voglia di recuperare il tempo perduto. Viene da chiedersi, però, se tutta questa attenzione per il digitale non possa influenzare negativamente il lavoro degli artisti, sempre più attenti a creare opere appetibili da un punto di vista fotografico piuttosto che concettualmente interessanti. E chissà che la commissione – il gallerista, in questo caso – non torni a limitare la creatività del talento, come nei tempi lontanissimi dei ritratti rinascimentali.
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